“Le pagine della nostra vita”, di Nick Cassavetes stasera video su Canale 5

Fin troppo scrupoloso ricreare l’America degli anni ’40, addirittura pedante negli effetti ed atmosfere d’epoca, il film si scalfisce quando la perfezione della confezione formale implode nell’entropia di un melò senza respiro che trova la sua forza proprio nel suo essere decisamente “fuori-tempo” rispetto al cinema hollywoodiano contemporaneo.

Si respira un’aria strana sfogliando le inquadrature de The Notebook – Le pagine della nostra vita, quarto lavoro in cabina di regia – ricordiamo i precedenti Una donna molto specialeShe’s so lovely, e John Q – dell’attore, sceneggiatore e regista Nick Cassavetes. Un’aria che, almeno inizialmente, si colora delle tinte tenui di un cinema nostalgico e “neoclassico”, smussato negli angoli formali ma pronto ad esplodere lungo le curvature delle sagome di ogni singolo personaggio. Tratto dall’omonimo romanzo di Nicholas Sparks – scrittore che aveva già ispirato Louis Mandoki nel bellissimo Le parole che non ti ho detto -, questa storia che segue l’esile filo di una memoria d’amore racchiusa fra le pieghe di un antico diario diviene, col trascorrere dei minuti, un viaggio alla ricerca di una passione perduta, di un fremito in grado di ricostruire e restituire un’identità dimenticata.

Fin troppo scrupoloso nel tuffarsi fra le scenografie dell’America degli anni ’40, addirittura pedante nel ricreare effetti ed atmosfere d’epoca, Cassavetes segue i suoi protagonisti in questa identificazione di un amore curando ogni minimo dettaglio della messa in scena; raffreddando il calore dei corpi con l’estetismo di strutture formali tanto perfette quanto rigide e poco elastiche. Anche se ben presto, in questa “partita a quattro” che sembra sfidare il corso del tempo e gli accidenti del dolore e delle convenzioni sociali, gli amanti “duplicati” di Cassavetes (rispettivamente Ryan Goslin/Rachel McAdams e James Garner/Gena Rowlands) cercano di emigrare dalle pagine cinematografiche che li ospitano; provano e resistere alla orizzontalità del montaggio e della messa in scena iniziando a scavare verticalmente ogni fotogramma.

Dalla testa alla bocca, poi dritto lungo la linea ideale che porta al cuore e scuote le viscere più profonde: sequenza dopo sequenza l’ordine del discorso imposto dalla sceneggiatura vacilla mentre i corpi impongono la loro disciplina intessuta di emozioni e sentimenti, passioni e desideri “non riconciliati”. Perché Le pagine della nostra vita inizia a scalfire la pelle dello spettatore proprio quando la perfezione della confezione formale implode nell’entropia di un melò senza respiro; un gioco filmico che, un po’ come i due protagonisti eterni amanti diacronici, trova  la sua forza proprio nel suo essere decisamente “fuori-tempo” rispetto alle regole del cinema hollywoodiano contemporaneo. Cassavetes non ha paura di oltrepassare le soglie di un “genere” classico e codificato come il melodramma e la sua disarmante sincerità infonde ai corpi dei protagonisti un’intensità che brucia la lineare razionalità della costruzione filmica. Anzi, è proprio l’estrema resistenza del corpo attoriale a permettere lo “sfondamento” emotivo di un film che, soprattutto nel finale, sembra letteralmente affogare nell’alveo materno di una Gena Rowlands, autentica icona di un cinema di melodrammatica fisicità.


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