La Juventus si ritrova sul campo di San Siro. L’ultimo posto dove poteva cercare prima di smarrirsi sulla strada per il decimo scudetto, ma anche il migliore e più significativo, perché era una finale e la Juventus ha vinto se stessa. Il Milan, che non perdeva da dieci mesi (2-1 contro il Genoa l’8 marzo scorso), si deve arrendere di fronte al maggiore spessore tecnico della rosa bianconera, ma soprattutto sbatte i denti su uno spirito di squadra e una ferocia agonistica che, finora, erano state le sue caratteristiche principali per conquistare, meritatamente, la testa della classifica.
Testa della classifica che, sempre meritatamente, conserva ma con qualche tarlo in più: perché gli effetti del contraccolpo psicologico saranno da pesare nelle prossime partite e da ieri si è insinuata nella coscienza del Milan (e non solo del Milan) la consapevolezza che è tornata una Juventus più cattiva, più solida e più vera.
La Juventus vince con merito, a tratti gioca anche molto bene, a tratti torna a essere la squadra che non ha paura di soffrire. Poi, certo, qua e là c’è ancora molto da correggere: la precisione, la difficoltà a uscire, l’occupazione dell’area che, in assenza di Morata, rischia di diventare un problema, ma questa Juventus ora deve temere solo il fantasma di se stessa, quello che dopo aver scalato il Cervino rischia sempre di inciampare su un sassolino (o un Sassuolo, avversario di domenica sera).
E’ una Juventus che spiega al Milan tutta la sua superiorità nella ripresa, quando iniziano le sostituzioni e la differenza è imbarazzante: mentre Pirlo mette dentro Kulusevski, McKennie, Arthur, Bernardeschi e nel finale anche Demiral; Pioli si arrabatta con Brahim Diaz e, nel finale, Kalulu, Maldini, Colombo. E non è la stessa cosa, anche considerando che i rossoneri partivano con sette assenze, una pesantissima (Ibrahimovic) le altre pesantucce (Rebic, Tonali, Gabbia, Bennacer, Krunic e Saelemaekers).
Intendiamoci, non significa che Pirlo ha vinto solo perché guidava una macchina più potente e veloce. C’è molto la sua mano nel modo con cui la Juventus ha interpretato la partita, l’ha capita, non l’ha sbagliata, facendo qualcosa di vagamente simile all’impresa del Camp Nou. Nonostante qualche affanno, c’è sempre stata una determinatissima ricerca della verticalità, il coraggio di cercare il gol all’inizio e anche dopo il pareggio del Milan, con un secondo tempo di notevole intensità che ha sfiancato il Milan, forse a corto di energie (fisiche e mentali) nella prima fondamentale dimostrazione di maturità che doveva dare.
La Juventus ha aggredito Milan nei momenti giusti, meno raffinata senza Cuadrado, ma tremendamente efficace con Federico Chiesa, l’eroe della resurrezione milanese, l’uomo che incarna gol e accanimento, intuizione e abnegazione asfaltando Theo Hernandez, molto ridimensionato dal confronto e spesso costretto al fallo (gliene vengono perdonati due piuttosto violenti nei primi minuti). Fin dall’inizio si respira aria di grande partita intorno all’azzurro che stampa sul palo un siluro da dieci metri, per scagliare il quale si era girato su un decimetro quadrato.
Il gol arriva poco dopo (18′ al termine di un meraviglioso scambio con Dybala al limite dell’area) ed è l’evoluzione naturale di un dominio juventino, iniziato al 10′ ed esauritosi al 30′, venti minuti in cui la Juventus schiaccia il Milan, per poi farsi schiacciare nel restante quarto d’ora, subendo un pareggio altrettanto naturale. Al 41′ Leao entra in area dalla sinistra e serve Calabria a rimorchio che la mette dentro con piatto destro chirurgico. Il gol è viziato da un evidente fallo di Calhanoglu su Rabiot che stava andando in contropiede e che, perdendo palla dopo l’ancata del numero 10 milanista innesca la ripartenza milanista, ma al netto dell’episodio la Juventus stava soffrendo, non riusciva a uscire e soffriva le imprecisioni ripetute di un Ramsey a volte incomprensibile e di un Bentancur ruvido.
Ma tutto cambia nella ripresa, la Juventus cresce, si gonfia, acquista sicurezza. Ronaldo orchestra il secondo gol di Chiesa dettando il passaggio di Frabotta a Dybala che fabbrica l’assist per la strepitosa doppietta dell’ala. L’ingresso di Kulusevski aggiunge classe e muscoli, quello di McKennie peperoncino al gioco bianconero. L’americano lotta e tira: prima richiede un miracolo a Donnarumma con un diagonale (l’assist di Ronaldo era da galleria di arte moderna), poi segna dopo una devastante azione di Kulusevski, chiudendo la partita e riaprendo la corsa al decimo.
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