Eppur qualcosa si muove. Non tanto sul terreno di gioco, ma in ottica di calciomercato. Il futuro di Christian Eriksen resta appeso ad un doppio filo. Da quasi certa riserva di lusso dell’Inter, a potenziale colpo low cost della finestra di trasferimenti invernali, presumibilmente da parte di qualche top club di Premier League.
Il danese dopo i 120 minuti disputati in Coppa Italia contro la Fiorentina, tornerà questa sera ad accomodarsi in panchina. Nonostante l’elogio alla duttilità esplicitato da Antonio Conte nella conferenza stampa della vigilia: «Dobbiamo sfruttare al meglio tutto il potenziale della rosa. Dietro Brozovic non abbiamo un regista che possa giocare davanti alla difesa.
Christian con noi ha giocato da interno e sulla trequarti: un calciatore che può ricoprire diverse posizioni, può tornarci utile». Chiaro ed evidente. Ma la sostanza emersa nelle scorse settimane non cambia: Eriksen resta nella lista dei cedibili. Con i meneghini pronti a lasciar partire il 24 nerazzurro senza troppe remore. Martin Schoots, l’agente del giocatore, in accordo con l’Inter, ha proposto il suo assistito a svariate società d’Oltremanica.
Gli estimatori non mancano, ma il lauto ingaggio dell’atleta, che non vuole rinunciare neanche a un euro, o eventualmente nemmeno ad una sterlina, resta un problema. Il Tottenham del Presidente Levy – in questo caso più del manager Mourinho – sta facendo un pensierino sul ritorno del figliol prodigo. Ma da Milano spunta un veto inderogabile: Eriksen può essere ceduto in prestito gratuito a qualsiasi club britannico, ma non agli Spurs.
Come dodici mesi fa i londinesi erano stati irremovibili nel chiedere 20 milioni senza se e senza ma, oggi tocca ai nerazzurri: prestito oneroso, altrimenti non se ne fa nulla. Questione di principio, ma anche strategia. Col futuro del centrocampista tutto da decifrare.
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E’ la notte degli esami per l’Inter e per Antonio Conte. Visti i tempi, meglio era difficile arrivarci: a parte il lungodegente D’Ambrosio e il solito Sensi (comunque in panchina dopo l’affaticamento al polpaccio avvertito nel riscaldamento a Firenze) stanno tutti bene.
Quindi il test sarà ancora più probante: «I punti in palio sono sempre gli stessi, ma la Juventus, avendo stradominato in Italia per tutti questi anni, è il parametro di riferimento per capire a che livello siamo arrivati», ha spiegato Conte con la chiarezza disarmante che lo contraddistingue. Un campionato fa, la sua Inter si schiantò contro il granito bianconero: all’andata, pur giocando bene, venne sconfitta 2-1 (era il 6 ottobre, canto del cigno di Sensi, prima del rosario di infortuni che avrebbero zavorrato il suo rendimento).
Allo Stadium, nonostante il vantaggio di giocare a porte chiuse – ancora una novità, ai tempi – dopo 45’ equilibrati, arrivò il crollo, verticale, sotto i colpi di Ramsey e Dybala. Conte è il primo a sapere che il punticino che ha diviso le squadre a fine torneo è un falso positivo, visto che la Juve, una volta conquistato lo scudetto, ha concentrato ogni risorsa sulla sfida in Champions contro il Lione.
E, proprio per questo, sa quanto siano importanti gli scontri diretti che, in un campionato equilibrato, possono scavare un fosso difficilmente colmabile: d’altronde i tre punti che dividono l’Inter dal Milan capolista sono proprio quelli conquistati da Stefano Pioli nel derby di andata. Nonostante la classifica – per ora – dica altro, l’incubo delle milanesi è che la Juve, con una sgasata delle sue, metta tutti di nuovo alle spalle. «Dobbiamo avere grandissimo rispetto verso una squadra che ha dominato per nove campionati e vuole arrivare a vincere il decimo. Il rispetto è il minimo che possiamo avere per quanto hanno fatto, soprattutto perché negli anni passati non c’è stata storia. Noi stessi abbiamo accorciato un po’ nei loro confronti, anche perché mi ricordo campionati in cui la Juventus ha dato 20-25 punti a tutti e non era una bella cosa».
Ora la Juve è indietro, ma per Conte la musica non è cambiata: « Penso che nessuna squadra possa dire di aver colmato il gap in Italia. Loro per nove anni hanno dominato e operato in una maniera importante, riuscendo sempre a cambiare, a volte per ringiovanire, altre per prendere giocatori di esperienza. Anche quest’anno sono una squadra che su una struttura che ha sempre vinto ha aggiunto Chiesa, Morata, Kulusevski e McKennie.
In Italia si è migliorati rispetto agli anni passati ma non c’è una squadra che ha annullato il gap. Sarebbe illusorio per tutti pensarlo, però attraverso il lavoro tante squadre come noi si stanno avvicinando come non accadeva negli anni passati. Noi, per esempio, in questo anno e mezzo siamo cresciuti tanto sul campo però possiamo e dobbiamo ancora migliorare per mentalità, cattiveria agonistica, nel “sentire il sangue” per ammazzare sportivamente l’avversario, ma tutto questo fa parte di un percorso». Per accelerarlo un po’, Conte, quando in estate è stato posto davanti a un bivio da Suning, ha scelto l’esperienza, confermando Sanchez e imbarcando nel progetto Kolarov e soprattutto Arturo Vidal, il grande ex, che finora ha però sempre deluso nei grandi crocevia stagionali. «Ma lui ha vinto tanto e giocato in club importanti e ha quindi l’esperienza per affrontare la partita nella giusta maniera». Fosse pure decisivo, Conte gli farebbe un monumento.
Il giorno della vigilia Inter-Juventus si gioca a distanza. Alle parole di Antonio Conte («Non c’è nessuna squadra che abbia colmato il gap con i bianconeri») fanno eco quelle di Andrea Pirlo: «Conosco Conte, cerca di togliere pressioni sui suoi per metterla su di noi.
Nessun problema, siamo la Juventus e vinciamo da nove anni: è normale trovarsi in una condizione simile. Ma anche loro sono stati costruiti per vincere, sarà una partita tra due grandi squadre che hanno le stesse ambizioni».
Una partita che la Juventus affronta dopo qualche fatica di troppo con il Sassuolo in campionato e con il Genoa in Coppa Italia. Mentale più che tecnico-tattica. Un passaggio sul quale Pirlo concorda: «Giocare contro grandi squadre non porta a cali di concentrazione: sai che non puoi sbagliare. Spero di vedere questo atteggiamento a San Siro, ma i ragazzi sono determinati e vogliosi. Quest’anno le partite sono sempre difficili da interpretare, ora che si gioca ogni tre giorni.
Perciò vanno vissute e gestite sui minimi dettagli. Devi sfruttare qualsiasi cosa, perché basta poco per avere la meglio e quel poco fa la differenza. Mi aspetto un’Inter inizialmente aggressiva, che vorrà dare ritmo. Noi non dovremo aver paura di fare la partita, perché siamo la Juventus. È giusto in una gara così importante dare impronta a quello che stiamo preparando e che abbiamo fatto in questi giorni. Sarà una partita tattica, da affrontare liberi di testa sapendo che è importante, ma non fondamentale per la corsa in campionato».
Conte contro Pirlo, passato contro presente bianconero: «L’Inter è una grande squadra, l’ha dimostrato da quando è arrivato Conte. È stato il primo che mi ha fatto pensare di studiare da allenatore, e gliene sono grato, perché mi ha insegnato tante cose quando giocavo. Adesso siamo su due panchine diverse da avversari. Lui sta facendo una carriera di grandissimo livello, con uno spessore umano che conosco bene. Abbiamo due caratteri diversi e forse è anche per quello che siamo andati d’accordo, sia da allenatore sia da calciatore. Ci siamo sentiti a inizio campionato, dopo che avevo fatto la prima partita. Da lì abbiamo intrapreso due percorsi diversi e, a forza di giocare non abbiamo avuto di sentirci. Ma rimangono grande stima e affetto, perché è un allenatore che mi ha dato tanto e ha fatto la storia della Juventus».
Una partita che i bianconeri affronteranno con un Giorgio Chiellini in più, dopo la buona ora disputata in Coppa Italia «Dopo la partita non ha avuto alcun problema, è pronto e carico, ha voglia di giocare questa grande sfida. Siamo contenti di avere Giorgio finalmente a pieno servizio, perché è un valore aggiunto. Mancherà De Ligt, che per noi è fondamentale, ma ci sentiamo ancora più forti con il rientro di Chiellini e di Bonucci, dietro ho campioni come Danilo e Demiral». Nell’Inter lo spauracchio in fascia è rappresentato da Hakimi: «Abbiamo studiato alternative tattiche: c’è Ramsey, che ha recuperato e lavorato bene, e c’è McKennie, che non è al 100%, con un fastidio che può tornare. Però averlo a disposizione è già una bella cosa. Vedrò come sta, per capire se possa partire dall’inizio o a gara in corso». E in prima linea, stante l’assenza di Paulo Dybala, torna Alvaro Morata in coppa con Cristiano Ronaldo: «Alvaro sta bene, anche se avrei preferito non fargli giocare 120 minuti contro il Genoa. Ma ci siamo complicati la vita da soli…».
Una sfida da oltre mille milioni di euro. Molto oltre, perché la cifra spesa nelle ultimi cinque stagioni da Inter e Juventus per rinforzarsi è in realtà più vicina ai duemila milioni: 1639, come si vede dalle tabelle a fianco (fonte transfermarkt.it). Tanto il club bianconero e quello nerazzurro hanno investito in cartellini dei giocatori per superarsi e per superare le altre rivali in Italia e in Europa. Ovviamente, né l’Inter né la Juventus hanno solo speso: vendere per finanziare le campagne acquisti è da anni, da prima della crisi scatenata dal Covid, una linea che i dirigenti di qualsiasi club devono seguire (non fosse altro che per rispettare il Fair Play finanziario). Nerazzurri e bianconeri in questi anni hanno anche venduto, rientrando in parte. La bilancia però pende per entrambe dalla parte delle spese sostenute per gli acquisti. Steven Zhang e Andrea Agnelli hanno condotto una strategia di espansione, non certo al ribasso.
L’ANNO DELLA SFIDA
Steven Zhang, già. Abbiamo parlato di 1639 milioni spesi complessivamente da Inter e Juventus negli ultimi quattro anni e il riferimento non è casuale. Nel 2016, infatti, il gruppo Suning rileva l’Inter e, dopo il crepuscolo morattiano e l’intermezzo di Thohir, l’avvento del colosso cinese sancisce il ritorno dei massimi traguardi tra gli obiettivi interisti. E dunque la sfida alla Juventus, che mentre la famiglia Zhang acquisisce l’Inter conquista il quinto Scudetto di fila. Quanto serie siano le intenzioni di Suning lo si capisce subito: quasi 160 milioni spesi nel primo mercato, il secondo più costoso della gestione cinese dopo quello della scorsa stagione, ma il più dispendioso considerando il saldo tra acquisti e cessioni.
bilancio finale?
In quella che potrebbe essere l’ultima stagione a vedere confrontarsi la famiglia Zhang (per lo meno da sola) e la famiglia Agnelli e in attesa di conoscere quale sarà l’esito della sfida sul campo, qual è il bilancio dello scontro sul mercato?
La Juventus, cifre alla mano, ha speso molto di più per gli acquisti, anche perché dal 2012-13 in poi ha sempre messo a bilancio gli introiti della Champions (superando sempre i gironi tranne che nel 2013-14) e ha dunque avuto più margini di spesa dal punto di vista del Fair Play finanziario: 268,2 milioni la differenza. Dunque si è rafforzata di più? Stando ai risultati sicuramente sì (ma partiva da una base superiore). Tornando alle cifre, non basta guardare solo ai soldi spesi per gli acquisti. Perché se è vero che la Juventus ne ha spesi molti di più dell’Inter e dunque in teoria dovrebbe aver acquistato più giocatori e più forti, è vero anche che ha anche incassato di più dalle cessioni. E dunque, sempre in teoria, dovrebbe averne persi di più e più forti. Esempio: gli arrivi di Higuain e Pjanic contemporanei alla cessione di Pogba. Alla fine, considerando il saldo tra entrate e uscite, in questi quattro anni di gestione Suning l’Inter ha speso per i cartellini dei giocatori 130,3 milioni in più della Juventus. Basteranno per il sorpasso? La risposta arriverà a fine stagione, ma stasera a San Siro emergerà un indizio molto significativo.
Hanno speso tanto, l’Inter di Zhang e la Juventus di Agnelli, come leggete nell’articolo e nelle tabelle in alto. Ma chi ha speso meglio? Una prima risposta la si potrebbe dare sulla base dei risultati: ed è evidente che se quello è il metro ha speso meglio la Juventus, che dal 2016 (anno del passaggio dell’Inter a Suning) ha vinto quattro Scudetti, due Coppe Italia e una Supercoppa italiana e ha sempre superato i gironi di Champions raggiungendo una finale. Risultati che però sono anche il frutto di una base costruita negli anni precedenti all’ingresso di Suning in nerazzurro: restano dunque un parametro molto importante, ma non sufficiente a dare un giudizio.
Allargando il campo al rendimento degli acquisti si entra in parte nella sfera della soggettività, ma si possono valutare gli investimenti sul mercato in modo più ponderato. Il giudizio, però, non cambia: da entrambe le parti non sono mancate delusioni, conferme e affari, ma la Juventus ha speso meglio i soldi dei suoi colpi più costosi (abbiamo considerato i giocatori pagati almeno 20 milioni, nelle tabelle non compaiono i giocatori in prestito senza obbligo di riscatto, come Morata, Chiesa o McKennie).
A far pendere la bilancia del giudizio a favore della Juventus è soprattutto il numero e il peso delle delusioni. Tra i colpi bianconeri di questi anni c’è chi non ha rispettato pienamente le aspettative, in alcuni casi molto alte: è il caso di Higuain, che in estate è costato alla società bianconera anche una minusvalenza di 18 milioni a bilancio, di Douglas Costa e di Bernardeschi. Nessuno dei tre, però, può essere considerato un colpo fallito: il Pipita è stato determinante nella conquista di almeno due scudetti (e prezioso in quello della scorsa stagione) e nel cammino fino alla finale di Champions nel 2017 e fino ai quarti nel 2018. Douglas Costa è stato decisivo nella volata con il Napoli alla sua prima stagione, con 3 gol e 10 assist nel girone di ritorno, dei quali rispettivamente 2 e 8 nelle ultime 11 giornate. Bernardeschi non si è (non ancora, almeno) imposto come il prezzo (40 milioni) del suo cartellino e certe prestazioni (soprattutto in Champions) facevano sperare, ma è un giocatore comunque da oltre 30 presenze a stagione. (Discorso a parte meritano Pjaca, una fratura al perone e due crociati rotti, e Pellegrini e Romero, il primo non ancora messo alla prova in bianconero e il secondo ceduto all’Atalanta senza mai giocare nella Juventus)
Ben diverso il rendimento di Joao Mario, primo grande colpo dell’era Suning, pagato 40 milioni nel 2016. Mai incisivo e ceduto in prestito a gennaio 2018, inizio di una trafila di cessioni temporanee in attesa della scadenza. E altrettanto inconsistente è stato l’impatto in nerazzurro di altri colpi da oltre 20 milioni: da Gabigol a Dalbert fino a Eriksen, sul quale il giudizio è ovviamente sospeso. Il danese potrebbe esplodere stasera e scrivere la storia nerazzurra nei prossimi mesi e anni. Al momento, però, i 27 milioni che l’Inter ha speso per lui un anno fa pur di averlo a gennaio, invece di ingaggiarlo gratis in estate per questa stagione, non possono che essere considerati spesi male, visto il suo impatto nella passata stagione.
conferme e affari
Né l’Inter né la Juventus hanno però rimpianti sul rispettivo acquisto più caro: Lukaku, 74 milioni, e Cristiano Ronaldo, 117 tra cartellino e spese accessorie, stanno rispettando pienamente le attese determinate dal loro prezzo. E sia nerazzurri che bianconeri hanno saputo piazzare colpi che, pur costosi, profumano già di grande affare: Lautaro Martinez e Dejan Kulusevski su tutti.
Handanovic in porta, D’Ambrosio, Miranda, Murillo e Santon in difesa; Medel e Joao Mario in mezzo; Candreva, Banega ed Eder alle spalle di Mauro Icardi. È la formazione schierata da Frank de Boer, oggi ct dell’Olanda, il 18 settembre 2016, pomeriggio dell’ultima vittoria nerazzurra sulla Juventus. Finì 2-1 in rimonta, con il gol iniziale di Lichtsteiner ribaltato dall’uno-due firmato da Icardi e Perisic, entrato a metà secondo tempo per Eder. Una vittoria da film – visto che l’Inter aveva iniziato il campionato malissimo (poi sarebbe andata pure peggio) – con Jindong Zhang in tribuna insieme al figlio Steven che portò tutta la squadra a cena al Bon Wei, suo buon ritiro milanese quando in città il proprietario era di casa. Sembra passata un’era geologica, anche perché di quella squadra stasera rimarranno a referto soltanto tre giocatori, ovvero Handanovic (unico titolare, oggi come allora), Ranocchia e Perisic, considerato che il quarto reduce, ovvero Danilo D’Ambrosio, si è infortunato con la Samp e ne avrà ancora per un mesetto. Da allora, prima con Luciano Spalletti, quindi con Antonio Conte, l’Inter ha ritrovato competitività (tre qualificazioni consecutive alla Champions) ma, paradossalmente, non è più riuscita a battere la Juve, tra le grandi la squadra che – come certificano i risultati – ha sempre patito di più. Da allora, compresa la gara di ritorno in quel campionato quando in panchina c’era Stefano Pioli, sono arrivate 5 sconfitte e 2 miseri pareggi. Con la Juve che, proprio a San Siro, ha messo la pietra tombale nelle speranze scudetto del Napoli (2-3 il 28 aprile 2018, nella gara passata alla storia per il gol partita di Higuain ma pure per la mancata espulsione di Pjanic, con arbitro Orsato) e ha dato due dispiaceri ad Antonio Conte che un campionato fa si è arreso tanto nella sfida di andata (1-2, 6 ottobre), quanto in quella di ritorno (2-0, l’8 marzo 2020 con lo Stadium deserto per effetto dello scoppio della Pandemia in Italia).
È giusto che Conte consideri la gara di stasera come un esame. Per i precedenti ma pure per le difficoltà avute quest’anno dalla sua squadra nei big match. Finora ne ha vinto uno soltanto, con il Napoli a San Siro (quando peraltro Handanovic è stato il migliore in campo), ha perso il derby – pur giocando bene – e ha pareggiato con Lazio, Atalanta e Roma dopo essere stata regolarmente rimontata dall’avversario. Quest’anno, per certificare la crescita dell’Inter, capace di vincere otto partite consecutive in campionato come non accadeva dai tempi di Mourinho, manca l’acuto contro una big, ovvero una partita vinta e ben giocata soffrendo il giusto ma non venendo dominati come nel finale contro il Napoli. Riuscirci proprio contro la Juve, oltre a rompere l’incantesimo nato dopo la vittoria di De Boer, rilancerebbe le quotazioni scudetto dei nerazzurri che, complici del gioco degli anticipi e posticipi, vivrebbero pure una notte in testa a braccetto con il Milan. Visti i precedenti, servirà l’impresa ma, dovesse l’Inter centrarla, sarebbe un urlo fortissimo alle avversarie per il titolo.
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