Milva chi era? Chi sono i figli?

Non eravamo amici, non l’ho mia frequentata, anche perché negli ultimi dieci anni s’era chiusa al mondo, vedeva solo la sua assistente Edith, la figlia Martina Corgnati, nata dal grande intellettuale regista Maurizio, che teneva una rubrica d’arte a Chi quando ero vicedirettore.

Però la incrociavo spesso, finché ha lavorato, ero andato anche a casa sua qualche volta (interviste), abitavamo anche vicini. Ogni tanto la incrociavo, per strada (fumava quelle lunghe sigarette sottili, e mi stupiva per questo), ma era sempre gentile. «La vedo in tv con le sue opinioni», mi diceva e la cosa mi lusingava, un monumento della nostra cultura popolare che sapeva chi ero.

Popolare, questa era una parola che non amava, il fatto di essere nata a Goro, ed era nel 1939, quando ancora c’era la fame vera, non la rendeva meno sofisticata e sembrava quasi staccarsi dal suo primo soprannome: La Pantera di Goro.

Mi spiegava: «Mio padre era un commerciante di pesce», ma da Goro ormai la separavano anni luce: dopo Corgnati, che aveva circa 20 anni di più e che le aveva aperto le porte della cultura (lei in cambio gli diede una figlia meravigliosa, Martina), aveva incrociato Giorgio Strehler che l’aveva voluta primadonna del suo Piccolo Teatro.

«Oggi non sarei quella che sono se non avessi incontrato Giorgio Strehler»,mi diceva, e non homai capito se con lui, che l’ha diretta in una marea di lavori teatrali compresa l’Opera da tre soldi, avesse avuto una storia. Pare che lei si fece i capelli rosso fuoco proprio per lui, che aveva la fissa delle rosse.

Giorgio (lei pronunciava il suonumecon la “o” molto chiusa e la cosa, chissà perché, mi faceva ridere) la rese la più applaudita interprete di Bertolt Brecht nel mondo. Anche in Germania si innamorarono di lei e lei per ricambiare imparò il tedesco come una seconda lingua.

Un giorno la cercai in albergo, era a Berlino, e chiesi della signora Maria Ilva Biolcati, il suo nome, «Ma nessuno mi conosce con quel nome, anche qui sono solo Milva», mi disse. A tanto amore da parte del suo pubblico e il suo amore totale per il suo lavoro non corrispose una vita sentimentale serena.

Corgnati era troppo grande, troppo diverso per lei, si innamorò di Mario Piave, l’attore, carattere difficile, litigi infiniti, e cercò perfino di suicidarsi una paio di volte, si lasciarono, ma quando, nel 1979, lui venne trovato morto alle porte di Roma, assassinato con cinque colpi di pistola, per lei fu un duro colpo. «Non ne voglio parlare», mi disse anni dopo, ma più che non voler parlare, non riusciva proprio, chiudeva gli occhi e non proferiva verbo.

La vita di Milva è stata caratterizzata da amori tormentati. Si sposò un’unica volta, nel 1961, con il regista Maurizio Corgnati, 22 anni più grande di lei, dalla cui unione nacque la figlia Martina. Il matrimonio durò fino al 1968, quando la cantante perse la testa per un altro: Domenico Serughetti, in arte Mario Piave.

Ci furono poi il filosofo Massimo Gallerani e l’attore Luigi Pistilli. Il matrimonio – Corgnati e Milva si incontrarono per la prima volta negli studi Rai di Torino, durante la registrazione del programma Quattro passi tra le nuvole. Si sposarono poi nel 1961, quando lei aveva 22 anni e lui 44. «Mi ha insegnato tutto, è stato il mio pigmalione», disse di lui Milva. Finché una crepa profonda scalfì quel sodalizio: la cantante si innamorò di Piave.

E arrivò l’uomo perfetto, bello, giovane, colto, borghese, pure professore, il filosofo Massimo Gallerani, conosciuto nei primi anni ’70, avrebbero potuto anche essere perfetti, un amore non passionale, forse, ma che le avrebbe offerto una quiete borghese (lei si prese anche una casa a Stresa, sul Lago Maggiore, a incorniciare il nuovo status), ma fu lui a lasciarla, per una signora più giovane e lei cadde in depressione.

Tra i grandi artisti la depressione è sempre dietro l’angolo, se poi incontri un altro con lo stesso problema è una tragedia. Iniziò a vedere Luigi Pistilli, bello, affascinante, un po’ dannato, forse troppo, molto problematico. Li univa il teatro, la passione per Bertolt Brecht, forse anche il sesso. Ma la frequentazione era impossibile, credo più per colpa di lui. Lei sparì dalla sua vita e lui, offeso a morte, fece un’intervista di fuoco contro di lei: «Milva non ama gli uomini, lei li mastica, le fanno comodo».

Un mese dopo quell’intervista si impiccò nella sua casa di Milano, che distava pochi portoni da quella di Milva. Prima di morire lasciò un biglietto, scusandosi con lei, dove le diceva che non era “la donna fredda e incapace di amare” che aveva descritto in quelle dichiarazioni.

Da allora il suo nome non è stato più legato ad altri artisti. Non è mai stata mondana, mai uscita se non per lavoro. Ricordo Gianni Versace, mio amico, che impazziva per lei, e la vestì pure, creando la gelosia di Ornella Vanoni (altra artista rossa amata da Strehler), che fu la prima a indossare le sue maglie corazza. L’ultima volta che ho parlato di lei è stato quando Iva Zanicchi era stata portata in ospedale con il Covid. «Mi ha scritto Milva», mi disse al telefono, «non avevo nemmeno capito subito che fosse lei, perché ho una cugina che si chiama Milva».

La richiamò, parlò con la sua assistente Edith, gliela passò, «Sentii poco più di un sussurro». Una sorta di addio, della Pantera di Goro all’Aquila di Ligonchio. «Addio Milva, eri la nostra cantante preferita, mia e di mia madre », dice Iva. Lo ripeto anch’io: addio Milva e grazie per i servizi e le interviste che mi hai permesso di realizzare con te. Oggi, il Paradiso ha una voce in più, il tuo contralto vibrato che Dio ti aveva regalato.


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