Nelle ultime ore sui social è diventata virale una foto di Diego Armando Maradona. In tanti hanno pensato che in quello scatto fosse immortalato un suo sosia, incredibilmente somigliante al Pibe de Oro in ogni dettaglio del suo aspetto. Ma non è così: in quell’immagine si vede proprio Diego. La storia di quello scatto.
Laprima volta che si sono incontrati fu nel 2003, a Fiuggi, su un campo di golf. Maradona è da qualche giorno nella cittadina termale a rilassarsi tra bagni e partite di golf. Dieguito Jr si fa accompagnare in macchina a Fiuggi dallo zio. Si presenta all’ingresso fingendo di essere interessato ai corsi per ragazzi, mette in tasca qualche depliant e chiede al custode, che non lo riconosce, se può dare un’occhiata ai campi.
Il ragazzo vede arrivare il padre e, appena l’addetto ai controlli si distrae inizia a correre verso di lui. Sembra tutta un’azione di gioco: in un primo momento il campione argentino scaccia il ragazzo, ritenendo presumibilmente che sia un cacciatore di autografi. Poi sale sul piccolo veicolo che serve per gli spostamenti sui campi di golf e si allontana. Il finale è clamoroso e parla di Diego: resosi conto di chi gli stava davanti torna indietro, si avvicina al figlio e lo abbraccia.
I due poi rimangono seduti a parlare per una quarantina minuti. Poi, tra le lacrime, si salutano. Diego è così. Può pure sembrare uno che vuole sfuggire alle sue responsabilità, che cerca di non guardare in faccia la realtà, ma poi il suo grande cuore cede. Intanto Dieguito Jr cresce e, come profetizzato da quando era in culla, diventa un calciatore. Certo, mica è semplice portare un nome del genere. «Portare certi cognomi è uno svantaggio, soprattutto per i figli di un papà celebre, in ogni categoria, dallo sport all’arte. Il mio poi era addirittura fuori categoria, il migliore di tutti i tempi. Il paragone con mio padre è stato un enorme macigno sulla mia carriera di calciatore».
Maradona Jr inizia la sua carriera nel vivaio del Napoli, ma purtroppo per lui non potrebbe esserci momento più sbagliato: nel 2004, dopo aver languito in serie B, il club fallisce e il figlio d’arte si ritrova svincolato, passando dai sogni azzurri – Nazionale compresa, era stato convocato con l’Under 17 – a un percorso in tono minore. Il 18enne Diego andrà in Liguria, sponda genoana: il Grifone crede in lui e lo tessera.
Dopo 6 mesi, però, Maradona Junior finisce in un programma televisivo. Si tratta di Campioni, il primo format che fa di una squadra, il Cervia, un reality calcistico. I giocatori sono seguiti ovunque, dalle stanze degli alloggi agli allenamenti, dalle partite di campionato alle vite private. Il suo nome, chiaramente, è legato all’audience: accende fantasie, aumenta curiosità e ascolti. Certo, non è la serie A, ma l’Eccellenza, eppure la vetrina è forte. Sono i guai fisici che non gli consentono di trovare continuità e nonostante la promozione in D l’avventura in Romagna termina dopo appena un anno. Lui la rinnega completamente: «Quando ho fatto quella scelta ho buttato la mia carriera.
Avevo ancora 18 anni, cinque di contratto col Genoa dove ero ben visto da Cosmi che mi stava facendo allenare con la prima squadra. Sono stato un co***one ad andare al Cervia, ho ascoltato una persona che ha pensato solo alle sue tasche. Mi accorsi subito di aver fatto un errore: umanamente mi sono trovato benissimo, ma dal punto di vista calcistico è stato un disastro. Non mi sentivo me stesso, non c’entravo nulla».
Da qui inizia a girovagare tra i campi minori della Campania: Internapoli, Quarto, Caivanese, Forio, Arzanese, San Sebastiano, San Giorgio, Savoia, Afro-Napoli United e Villa Li terno, un tour continuo intervallato da qualche exploit. In Molise, in forza al Venafro, si fa notare per una prodezza di stampo paterno con un goal da 40 metri, sebbene di destro. L’entusiasmo per la rete scatena paragoni e raffronti, dagli spalti della cittadina molisana qualcuno azzarda un “Diego/Diego”; eppure c’è qualcosa che non va, che lo frena. «Sono sempre andato alla ricerca di una mia identità, forse mi sarebbe stato un po’ d’aiuto giocare in un ruolo diverso rispetto al suo. Ma il cognome illustre te lo fanno pesare sempre, per farti sentire in soggezione.
Non tanto i compagni di squadra, invece gli allenatori sì». Cerca di rifarsi sui campi in sabbia. Il piccolo Maradona nel beach soccer trova la dimensione giusta dove esaltare la propria tecnica, perché ne ha parecchia e chissà se per via genetica. Si vede che la usa, che cerca spesso i tagli per i compagni e parabole arcuate, azioni che richiamano l’estro del padre. Del padre gli manca il genio assoluto e la sfrontatezza, quella che ha consentito di vivere al Pibe de oro una carriera intera costantemente al centro dell’attenzione mondiale. Più volte dice: «Il mio desiderio è stare bene, chiedo solo questo». Arriva addirittura a sfiorare un Mondiale con l’Italia del beach soccer, e togliendosi soddisfazioni con Napoli, Mare di Roma, Lazio e Catania. «E stato un viaggio meraviglioso fatto di mondiali, scudetti e soddisfazioni.
Un vortice di emozioni indescrivibili, difficilmente ripetibili. Auguro a tutti di avere la stessa passione che ho avuto io, di amare ogni singolo momento come l’ho amato io. E anche se con la Nazionale non è finita con la considerazione che meritavo va bene così». Intanto, nel 2007 Diego senior inizia a cedere anche sul piano legale, dopo due anni di battaglie, una querela e l’accusa di non aver versato gli alimenti al figlio dal 18esimo anno d’età in poi, oltre a quella di diffamazione a mezzo tv: in una puntata del suo show argentino La noche del Diez il campione avrebbe detto che stava pagando con il denaro i suoi errori, cioè la nascita di Diego Armando junior.
La prima riconciliazione avviene al Tribunale di Napoli. Oltre alle scuse pubbliche viene sancito il risarcimento da parte del padre, che mette a disposizione del giovane quanto dovuto fino ai 25 anni di età. Il commento di Diego Junior: «Ora le cose sono cambiate». Le cose cambiano, ma lentamente. Perché, se il riconoscimento legale dice che Diego Sinagra è figlio di Maradona, l’affetto e il rapporto tra padre e figlio è tutto da costruire. Intanto l’opinione pubblica si placa, quella che per anni non aveva perdonato al campione di non avere riconosciuto il figlio della colpa. Più tardi anche il cuore inizia a fare il suo lavoro. I due prendono a scriversi, a frequentarsi.
Frasi dolci, dette a distanza, poi da vicino, in incontri privati che ogni tanto diventano pubblici. Come quello che li vede insieme addirittura in campo: la partita della pace voluta da Papa Francesco a ottobre del 2016. Sul terreno di gioco si scambiano la palla, negli spogliatoi ridono davanti alle telecamere. Poi qualcuno chiede a Diego senior di commentare il livello del figlio e fa una cosa proprio paterna. Si fa serio. Scuote la testa, preoccupato, e dice: «Deve allenarsi.
Se non si allena non può giocare, ma questo lo sa, è un ragazzo intelligente». Dalla partita della pace alla riappacificazione completa il passo è breve. Pochi mesi dopo Diego chiede scusa al figlio davanti a tutta Napoli in una serata magica in cui è conduttore di uno show teatrale al San Carlo. Quello di non riconoscerlo era stato l’unico peccato che i napoletani non avevano saputo perdonare. Un popolo come quello partenopeo giustifica gli eccessi, le parole, le follie: ma non il rinnegare il sangue del suo sangue. Perciò, con quella frase, esito di un processo avviato da anni, e di un rapporto affettivo ormai consolidato, Diego ha finalmente fatto pace con tutti i suoi demoni.
Ma c’è da arrivare alla conclusione del capo d’accusa. Ora, se dovessi invocare la sua assoluzione in questa vicenda lo farei pensando a cosa significa essere stato uno degli uomini più in vista del pianeta. Diventi sospettoso, pensi che ognuno voglia levarti qualcosa. E sbagli, perché di errore si trattò. Ma poi cambi idea ed è l’amore, la voce del sangue che ti portano a ripensarci, come quella volta a Fiuggi in cui il tuo “corazon” non poteva tollerare di vedere andar via scornato il ragazzo, tuo figlio, che si era fatto tanta strada solo per vederti da vicino. Tuo figlio che poi è tuo appassionato tifoso, anche quando ce l’aveva con te: «Una cosa è il rapporto paterno, un’altra è il tifo: io vado pazzo per Maradona e ho sempre fatto il tifo per lui», dichiara ai cronisti di un giornale tedesco volati fino a casa sua, in un paese della zona flegrea dove Diego abitava, per intervistarlo. Quando chi sbaglia si rende conto di averlo fatto e ripara, donando anche per pochi anni l’affetto e l’assistenza materiale a un figlio che non aveva mai conosciuto, e chiede perdono in pubblico, sono convinto che vada assolto.
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