Nato a Monfalcone il 23 settembre 1934 sotto il segno della Bilancia, Gino Paoli ha vissuto la sua vita a Genova, con gli amici di sempre (e che amici!): Lauzi, Tenco, De Andrè, Bindi e i fratelli Reverberi (che ne hanno spinto l’esordio). Era l’uomo giusto al momento giusto, capace di consegnare alla scena musicale italiana brani dal sapore imperituro come Il cielo in una stanza, Senza fine, La gatta, Sapore di sale, Una lunga storia d’amore, Quattro amici…e non solo!
Gino Paoli, vita privata
La vita privata di Gino Paoli è stata intensa e ricca di colpi di scena. Sposa Anna, sua prima moglie, dalla quale ha avuto il primo figlio Giovanni. Ma proprio mentre la donna era in attesa di partorire, il cantante conosce Stefania Sandrelli. La famosissima attrice ha solo 15 anni, lui 30. Eppure, la passione lì colpì. Così, la Sandrelli rimase incinta e scoppiò il finimondo. Amanda, figlia della coppia, venne fatta nascere a Losanna per placare le polemiche. L’11 luglio del 1963, però, Gino Paoli tentò il suicidio sparandosi al cuore. Il proiettile lo mancò, conficcandosi nel pericardio dove si trova tutt’oggi per l’impossibilità di rimuoverlo. Dopo l’addio anche alla Sandrelli, Gino Paoli inizia una lunga relazione sentimentale e professionale con la collega Ornella Vanoni. Successivamente si sposa con Paola, sua attuale moglie, dalla quale ha avuto due figli.
Quando la Sandrelli sta per spiccare il volo come attrice, nascono i primi litigi, le incomprensioni e Gino Paoli non regge e decide di spararsi un colpo al cuore. Che, per fortuna, si blocca intorno al pericardio: “Il suicidio è l’unico arrogante modo dato all’uomo per decidere di sé. Eppure io sono la dimostrazione che neppure così si riesce a decidere davvero…”
In un’inquadratura lenta, precisa, sensuale, Stefania Sandrelli appare distesa, a pancia sotto, intenta a prendere il sole su una spiaggia deserta, nella prima sequenza di uno dei suoi film capolavoro, Io la conoscevo bene di Antonio Pietrangeli. L’immagine di quel corpo morbido e moderno, invitante ma non aggressivo, richiama subito una nota musicale, un accordo celeberrimo che parla di mare, di spiaggia, di passione.
Era il 1965 e Sandrelli, già contesa dai registi più famosi, interpretava Adriana, ragazza fragile e remissiva, incapace di sopravvivere nel demi monde dello spettacolo dove ogni sogno, per una donna sola, ha un costo alto e inevitabile. Niente in comune con la vera Stefania Sandrelli che due anni prima, nel giorno del quindicesimo compleanno, 5 giugno ’61, aveva conosciuto Gino Paoli, scatenando un’irresistibile attrazione di cui una figlia, Amanda, e una canzone, Sapore di sale, sono i frutti migliori.
Lui era di scena alla Bussola di Viareggio, lei aveva una voglia matta di conoscerlo, adorava il suo modo di cantare, lo aveva visto in tivù e avrebbe fatto di tutto per farsi invitare a ballare. Non fu difficile. Quella fanciulla in fiore, vestita di verde acqua, un abito con le frange che partivano da sotto il seno, colpì subito l’autore. La differenza d’età era proibitiva, Paoli aveva quasi trent’anni e, sulle prime, tentò di sottrarsi. Ma fu un attimo, poi non ci fu più niente da fare.
Cominciarono fughe e segreti, incontri e appuntamenti clandestini. La minorenne spensierata, cresciuta in Versilia con il sogno della danza classica e la mania del cinema, sgattaiolava via di notte, calandosi dalla finestra, attenta a non farsi beccare dalla madre, per poi rientrare all’alba, con l’aiuto della cameriera, dopo scorribande d’amore, corse sull’auto scoperta del cantante, jazz, baci, sesso in pineta. Tutto pur di stare insieme, sfidando i divieti, la realtà che vedeva Paoli regolarmente coniugato con Anna Fabbri (Sandrelli, all’inizio, non lo sapeva) e il pericolo di essere solo una delle tante conquiste del musicista sciupafemmine.
Più tardi le note suggellarono l’incantesimo, sulla sabbia dove lei si lasciava cadere, accanto a lui, nelle sue braccia, lontano da tutto, «lontano da noi, dove il mondo è diverso, diverso da qui». Sì, è vero: Sapore di sale parlava di lei e le altre, anche se c’erano o c’erano state (nel ’61 il cantautore aveva dedicato Senza fine a Ornella Vanoni e l’attrice ha dichiarato di ritrovare se stessa anche, o forse di più, in Che cosa c’è), non arrivarono a provocare quell’onda di desiderio, quello struggimento amoroso di uno degli evergreen più amati della storia della canzone italiana.
Alla radice dell’ispirazione c’erano la nostalgia e forse la consapevolezza che il cinema, a poco a poco, avrebbe separato gli amanti. L’ex ragazzina, che ormai viveva a Roma mentre Paoli l’avrebbe voluta a Milano, stava diventando diva. Sotto il sole dell’estate del ’63, mentre Sapore di sale balza in vetta alle classifiche, Sandrelli gira a Sciacca Sedotta e abbandonata di Pietro Germi. Paoli continua a tempestare di telefonate la casa di famiglia, la signora Sandrelli risponde che Stefania non c’è anche quando c’è. Quando i due riescono a comunicare volano parole grosse, sono i litigi della paura, quelli di quando si è lontani e si avverte che il filo sta per spezzarsi.
Alla fine è il cantante-poeta che non regge, una nuvola di disperazione gli offusca la mente, lo spinge a prendere una pistola e a spararsi un colpo al cuore. Che, per fortuna, si blocca intorno al pericardio: «Il suicidio – dirà più tardi – è l’unico arrogante modo dato all’uomo per decidere di sé. Eppure io sono la dimostrazione che neppure così si riesce a decidere davvero…».
Lei, tra molte cautele, riceve la notizia sul set. Parte subito, si precipita in ospedale, tenta di sdrammatizzare dicendo una cosa semplice, logica, che non fa una piega e ricorda le battute di certi suoi personaggi, lievi, disincantati, innocenti solo in apparenza: «Se mi ami talmente tanto, perché vuoi morire? Se uno ama, l’amata la vuole vedere».
Così succede che Paoli riesca a ridere, uscendo dal buio che l’aveva avvolto, tornando a credere in quell’amore, nato proibito e diventato necessario. Un anno dopo, nell’ottobre ’64, nasce Amanda, una figlia che più «d’arte» non si può. L’intesa tra i genitori, cantautore glorioso e attrice di fantastico talento, va avanti ancora un po’.
L’equilibrio è difficile da mantenere, il cinema incalza. Paoli non approva certe scelte, non vorrebbe che la sua compagna recitasse in Io la conoscevo bene e si oppone fieramente alla prospettiva di vederla nella Noia di Damiano Damiani, tratto dal romanzo di Moravia, e poi interpretato da Catherine Spaak. La fine di tutto arriva intorno al ’68. Ma la memoria del legame impetuoso resta, intatta, nel sapore di mare, nel «gusto un po’ amaro di cose perdute».
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