Renato Pozzetto chi è: Età, altezza, carriera, moglie, figli e vita privata

È nato il 14 luglio del 1940 a Laveno-Mombello in provincia di Varese (sotto il segno del Cancro) da genitori milanesi. Ha vissuto la sua infanzia a Gemonio e ha studiato all’istituto tecnico per geometri.

Fin da quando era ragazzo si è cimentato nel cabaret e insieme all’amico Cochi Ponzoni ha fondato lo storico duo Cochi e Renato esordendo all’Osteria dell’Oca. Per quanto riguarda i suoi dati corporei, è alto 172 cm per un peso di 85 kg.

Renato Pozzetto moglie

Nel 1967 ha sposato Brunella Gruber (conosciuta sul Lago Maggiore quando erano ragazzini), che è stata l’unico grande amore della sua vita fino al 2009 anno della sua dipartita. Un evento che ha segnato e non poco Pozzetto visto ciò che hanno costruito insieme. Dalla loro unione infatti sono nati Francesca e Giacomo Pozzetto, con cui hanno formato una famiglia compatta e affiatata.

Renato Pozzetto malato, parkinson

Complice il passare degli anni, Renato ha avuto qualche problema di salute. Nel 2017 per via di ciò, ha annullato uno suo spettacolo a Saronno che era praticamente già sold out. Non si è mai saputo bene cosa abbia avuto in particolare, addirittura secondo alcune indiscrezioni mai confermate ufficialmente, avrebbe il morbo di Parkinson. 

 

E’ stata una storia d’amore lunga 65 anni, e al giorno d’oggi sembra una favola d’altri tempi. Infatti lo è. I protagonisti sono Nino e Rina Sgarbi, genitori del vulcanico storico dell’arte Vittorio Sgarbi e di Elisabetta, fondatrice della casa editrice La Nave di Teseo.

Nino e Rina si sposarono nel 1950 e giunsero a Ro Ferrarese l’anno successivo, quando presero in affitto la casa e la farmacia. Trascorsero una vita insieme, fino a che lei morì, a 89 anni, nel 2015. Per aiutare il padre a superare il lutto, la figlia gli consigliò allora di scrivere un libro, affiancandogli un ghost writer, uno scrittore ombra. È nato così Lei mi parla ancora (Skira editore) una lunga lettera d’amore, diventata ora un film diretto da Pupi Avati, che va in onda su Sky Cinema Uno dall’8 febbraio.

Nel ruolo di Nino, uno Sgarbi tenero e docile che non s’immagina possa essere il padre di Vittorio, c’è Renato Pozzetto nella prima interpretazione drammatico della carriera. L’ex “ragazzo di campagna” dei film comici Anni 80 riesce a commuovere con le stesse espressioni che un tempo ci facevano ridere. Una svolta struggente che, in attesa del giudizio del pubblico, gli ha fatto incassare già i complimenti di Vittorio ed Elisabetta Sgarbi. «Lei è venuta anche sul set», ci racconta Pozzetto, «quando abbiamo girato nella loro abitazione di Ro Ferrarese».

La casa di mattoni rossi, zeppa di opere d’arte collezionate con gusto e competenza da mamma Rina, che ha trasmesso quella passione al figlio Vittorio, è centrale nel film. Nelle stanze della casa- museo in riva al Po si rincorrono i ricordi della moglie morta, con la quale Nino (scomparso tre anni fa a 97 anni) nel film continua a dialogare. “Un giorno ci ritroveremo di nuovo e sarà bellissimo, ci abbracceremo e le parole non serviranno più”, ha scritto nel libro papà Sgarbi, che aveva esordito come scrittore a 93 anni con Lungo l’argine del tempo.

Pozzetto ci dice di non aver mai conosciuto Giuseppe Sgarbi, «ma non è necessario per interpretare bene un personaggio», aggiunge. Eppure sembra avere molto in comune con lui, a cominciare dell’amore, lungo tutta un vita, per la moglie Brunella Gubler, sposata nel 1967, con la quale ha avuto due figli, Giacomo e Francesca, alla quale è rimasto legato fino alla sua comparsa, avvenuta nel 2009. «L’avevo conosciuta a 16 anni e non ci siamo mai lasciati.

Era successo lo stesso anche al mio amico Cochi: eravamo tutti ragazzi nella stessa compagnia del Lago Maggiore», ricorda. «Con questo film avevo l’opportunità di portare sul set me stesso con le mie emozioni, il mio modo di recitare, la mia voce, i miei tempi e le mie pause. Ho sentito congeniali e vicini una storia curiosa e interessante e il racconto di una vita intera dedicata a una grande storia d’amore». È curioso che abbia scelto di dare una svolta così drastica alla propria carriera in una fase della vita nella quale poteva magari non avere più voglia di lavorare. «Quando Pupi mi ha telefonato era già d’accordo con gli Sgarbi, che evidentemente mi reputavano adatto al ruolo.

Io ho chiesto solo di leggere il copione. Ammetto che l’ho trovata una proposta davvero strana, ma emozionante. Poi Pupi è venuto a pranzo a casa mia a Milano, abbiamo parlato e ho accettato. Tutto qua». È stato faticoso? «Ho subìto undici anni il dolore della perdita di mia moglie e devo confessare che alcune situazioni descritte nella sceneggiatura andavano a toccare certe mie corde sensibili, ma non ne ho avuto paura.

Il film mi attirava molto, ho capito che poteva creare interesse verso ogni tipo di pubblico e mi sono lanciato senza remore sapendo di poter contare sul pieno sostegno del regista». Un’esperienza indimenticabile, quindi. «Sul set ci sono stati diversi momenti emozionanti e di commozione da parte di Pupi e di tutti i presenti, e questo mi ha toccato molto. Ho girato una settantina di film e le modalità di azione sono sempre quelle: la riuscita di un progetto dipende da un lavoro comune di tutti e da un’emozione di base condivisa». A questo si è naturalmente aggiunta la fatica causata dalla pandemia. «Sì. Abbiamo girato quest’estate osservando tutti i protocolli di sicurezza.

Non vedo l’ora che mi facciano il vaccino», chiosa Renato. Abituato a vivere all’aria aperta in mezzo alla natura, gli pesa di non poter uscire. «Negli ultimi anni mi sono dedicato a una locanda che ho costruito in una cascina restaurata sul Lago Maggiore: la Locanda Pozzetto. Ora, poiché raccomandano agli ottantenni di non muoversi, non ci vado da molto tempo, ma non vedo l’ora di godermi ancora Laveno».

Altra curiosa coincidenza tra Renato Pozzetto e Nino Sgarbi è il legame fortissimo con il territorio: il lago per l’uno, il fiume per l’altro. «Ma io amo molto anche le atmosfere del Po e del suo delta, infatti dal lago Maggiore rimorchiavo la mia barca fino a Cremona e poi, con alcuni amici navigavo, fino a Venezia, dove ho una casa». Ha nostalgia del passato? «No, ho avuto la fortuna di fare quello che mi piace e di avere un discreto successo. Se va bene anche questo film ho fatto il giro della morte, perché sono riuscito anche in una parte drammatica».


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