Massimo Cannoletta ci racconta Antonio Vivaldi

L’amore per Vivaldi resiste anche  agli ascensori e ai centralini telefonici che usano impunemente le sue celeberrime Quattro stagioni come musica d’attesa. Chiunque abbia ascoltato questo capolavoro barocco nell’esecuzione di un’orchestra (o di un buon impianto audio), con le sue vibrazioni e le sue sonorità, inorridisce di fronte alla scelta sciagurata di utilizzarlo come grazioso sottofondo per riempire vuoti e silenzi (spesso riproducendo a ripetizione lo stesso frammento, immancabilmente tagliato malissimo) fino al momento in cui le porte finalmente si aprono al piano desiderato o uno scocciato operatore risponde alla nostra chiamata.

Di certo inorridirebbe Antonio Vivaldi se lo sapesse, lui che aveva dedicato alla composizione la sua intera vita e aveva riconosciuto da piccolo la musica come vera e unica vocazione, tanto forte da scavalcare anche l’altra, quella religiosa. Infatti era un sacerdote e veniva chiamato il Prete Rosso per i suoi capelli rossicci, ma più che una sincera motivazione di fede quella di prendere i voti era stata una scelta di comodo pilotata dai genitori.

Antonio però riuscì ad aggirare i doveri sacerdotali dopo pochi mesi dall’ordinazione a causa di una “strettezza di petto” (oggi si ipotizza fosse una patologia asmatica) che non gli consentiva di celebrare. Ma non gli impedì mai di comporre e dirigere la musica, né di insegnarla. Vivaldi era un ottimo maestro di musica, assunto all’Ospedale della Pietà della sua città natale, Venezia. Al contrario di quello che il nome potrebbe far pensare, la struttura non era una casa di cura, ma un orfanotrofio femminile.

Molte delle ragazze accolte dall’istituto erano figlie illegittime di ricchi veneziani, che assicuravano quindi fondi e sostegno economico. Vivaldi dirigeva il coro e l’orchestra dell’O-spedale, dove le giovani suonavano e cantavano anche le sue composizioni, e furono anni molto fertili e produttivi: compose più di quattrocento concerti (anche se il genio novecentesco Igor Stravinskij, che non lo amava molto, una volta affermò che Vivaldi in realtà compose quattrocento volte lo stesso concerto) e il pubblico da tutta Europa accorreva in chiesa ad ascoltare le talentosissime musiciste.

Antonio si dedicò anche alle opere, ne scrisse una cinquantina e ogni inaugurazione era un evento per la città. In questa nuova forma musicale (la prima era stata composta da Claudio Monteverdi nel 1607) iniziò a frequentare anche il mondo artistico esterno all’istituto della Pietà e conobbe la Girò, al secolo Anna Tessieri Girò, cantante e ben presto, secondo quanto raccontò Carlo Goldoni, coinquilina del Maestro.

La Girò secondo il celebre commediografo andò a vivere con Vivaldi insieme con la sorella Paolina, che era infermiera e quindi poteva occuparsi dei suoi problemi respiratori, che andavano peggiorando. Su questo le voci sono discordanti, ma tutti in città davano per scontato che tra Antonio e Anna la relazione non fosse unicamente professionale: tra calli e campielli si bisbigliavano sospetti, tanto che per lei era stato con  mai state associate ad alcuno scandalo in passato.

Il cardinale fu irremovibile e l’opera andò in scena senza il compositore e senza la diva. Fu un flop e anche l’inizio di un periodo critico per Vivaldi: i gusti del pubblico iniziavano a cambiare e lui decise quindi di andare per un periodo oltre le Alpi, a Vienna. L’imperatore Carlo VII era un suo grande ammiratore e di certo lo avrebbe aiutato a rilanciare la sua carriera e a trovare nuove commissioni. Partì con Anna e Paolina, ma una terribile sorpresa lo aspettava: poco dopo il suo arrivo in città il sovrano, sul quale aveva riposto tante speranze, morì. Aveva mangiato un piatto di funghi velenosi!

La delusione fu immensa, le illusioni di Antonio si sbriciolarono rapidamente ancor più quando comprese che il successore aveva ben altri interessi ed altre preoccupazioni, principalmente militari, e quindi non avrebbe potuto contare sul suo appoggio. Furono anni molto difficili, di miseria vera e propria. Vivai-di fu costretto a vendere i propri manoscritti per sopravvivere, poi si
ammalò e morì senza poter rivedere la sua amata Venezia.

Oggi a Vienna, alle spalle della Votivkirche, un gruppo di statue ricorda il compositore veneziano: sono le cosiddette “putte musicanti”, le giovani fanciulle che rappresentano le Quattro Stagioni dei suoi concerti più famosi. Sono tre ragazze in marmo che suonano strumenti ad arco: la Primavera suona la viola, giovane e leggiadra; l’Estate in piedi con i suoni purissimi del violino; la figura a sinistra invece suona il violone e con le sue note profonde e malinconiche unisce in sé l’Autunno e l’inverno.

La capitale dell’impero dove Vivaldi morì lo ricorda con questo gruppo di statue di Gianni Aricò. Ma anche la sua città natale gli ha dedicato un monumento, la versione in bronzo con patina dorata di quello viennese.

Le stesse figure, ma in una collocazione del tutto differente. Mentre nella capitale austriaca le musicanti sono in un giardino sul retro di una chiesa, a Venezia accolgono i visitatori all’ingresso del porto, sul molo di San Basilio, rivolte verso il Canale della Giudecca, a una mezz’oretta di cammino dalla Chiesa della Pietà (1’0-spedale oggi non esiste più), dove ancora oggi le Quattro stagioni vengono eseguite regolarmente. Proprio nella chiesa dove il Maestro deliziò il suo pubblico dirigendo le sue giovani musiciste e dove visse quelli che probabilmente furono gli anni più felici della sua vita.


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