Martina Levato, condannata in via definitiva a 19 anni e mezzo di detenzione per le aggressioni con l’acido, non potrà lasciare il carcere per recitare a teatro. Lo ha stabilito in questi giorni la Corte di Cassazione, confermando la decisione già presa dal Tribunale di Sorveglianza di Milano circa un anno e mezzo fa, precisamente il 23 gennaio del 2020.
La Levato, oggi 30 anni, è stata ritenuta responsabile di tre aggressioni con l’acido, messe a segno nel 2014 a Milano insieme con Alexander Boettcher, oggi 36enne e all’epoca suo fidanzato. Stando alla decisione della Suprema Corte, quindi, la Levato non potrà allontanarsi dal carcere di San Vittore per recitare al teatro “Piccolo” di Milano come attrice nello spettacolo “Decameron delle donne”.
I magistrati della Cassazione hanno infatti dichiarato inammissibile il ricorso della donna, che insisteva sulla necessità del permesso. Inoltre, l’hanno condannato a pagare tremila euro di spese giudiziarie. La Levato ha commentato la decisione così: «Mi ha fatto male, malissimo, veder negato il permesso per recitare a teatro. Un permesso che di certo non era un premio ma faceva parte del mio percorso rieducativo, era intimamente connesso ai temi sui quali stavo lavorando con gli educatori e gli psicologi.
Lo spettacolo riguardava la genitorialità, la maternità negata». Durante il processo penale emerse che Martina Levato è un «soggetto borderline e pericoloso socialmente». La coppia dell’acido è stata condannata in via definitiva nel 2018 insieme con il complice Andrea Magnani.
Per i tre era stato formulato un leggero sconto di pena perché, come richiesto dal procuratore generale, era stata esclusa l’aggravante dell’associazione a delinquere. Il folle piano della coppia era quello di “purificare” Martina da precedenti contatti amorosi. Le vittime, infatti, erano ex fidanzati della giovane. Martina e Alex hanno un figlio, nato a Ferragosto del 2015.
Nel 2016 il Tribunale per i Minorenni aveva dichiarato lo «stato di adottabilità» per il bimbo. Con il provvedimento i giudici avevano disposto «l’immediata sospensione di ogni rapporto, anche indiretto, del minore con i familiari» nonché «la sospensione dei genitori dall’esercizio della responsabilità genitoriale sul figlio».
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