Roby Facchinetti, Måneskin e Negramaro, band davvero valide

Molti dei brani del nuovo album Symphony, e non solo di questo, sono nati al pianoforte di casa Facchinetti, una casa in cui tutto sa di bellezza, di luce, di ricordi e di fantasia: parola, questa, che ricorrerà nell’incontro con il musicista, che apre a “Chi” le porte della sua abitazione e del suo cuore, prima di ripartire per un tour molto desiderato. «La creatività, la fantasia, l’ispirazione, nasce tutto qui, con il mio Steinway gran coda, praticamente la Ferrari del mondo del pianoforte, che mi sono regalato dopo il concerto a San Siro del 2016 per l’ultima reunion dei Pooh».

Domanda. Celebrava un addio? Risposta. «Celebravo la lunga fine di una lunga, straordinaria storia durata 50 anni. Salire sul palco insieme per le ultime volte, quel palco cui ho dedicato per tanti anni più tempo che alla mia famiglia, a mia moglie Giovanna, ai miei figli… Aver concluso quella meravigliosa avventura musicale e umana – perché si nutrivano l’una dell’altra – mi ha messo la voglia, la necessità, di consolarmi.

È la prima volta che lo dico, sa? Non ne avevo mai parlato con nessuno. Avevo bisogno di sentirmi un po’… coccolato». D. Parliamo di oggi, anzi di domani e dopodomani: di nuovo in tour, finalmente. R. «Il 3 maggio siamo al Teatro Lirico di Milano, e poi Treviso, Torino, Firenze… Stiamo aggiungendo date anche per l’estate, c’è tanta voglia di fare. Per un musicista è ovvio non vedere l’ora di salire sul palco. Ma per i lavoratori del settore è una necessità più concreta, noi ce la caviamo sempre, ma loro se non lavorano non mangiano».

D. Il tour è anche un regalo per il suo 78° compleanno l’1 maggio? R. «Non solo, perché ci sono altri eventi da festeggiare: c’è la Prima Comunione a Roma di Mia, la figlia di Franci (Francesco Facchinetti, suo terzogenito, ndr) e Alessia (Marcuzzi, ndr), poi l’1 maggio c’è il mio compleanno e il 2 quello di Franci, e noi cerchiamo sempre di festeggiarli insieme e con chi, della famiglia, riesce a esserci. Compiere gli anni è un traguardo, però le confido che io da qualche anno ho voglia di festeggiare, più che me stesso, i miei genitori, che non ci sono più: è a loro che penso perché loro mi hanno fatto il dono più grande mettendomi al mondo».

D. Uno dei brani dell’album Symphony si intitola La musica è vita. È il suo manifesto? R. «È uno dei 5 inediti dell’album, in cui ci sono poi 14 classici dei Pooh rifatti in chiave sinfonica. Sì, la musica è stata, è la mia vita, sempre. Io mi sveglio la mattina e prego Dio e l’umanità che non mi manchi mai la fantasia. È quello il motore di tutto: la fantasia». D. C’è anche un inedito con testo del suo amico Stefano D’Orazio (ex batterista dei Pooh, mancato nel novembre 2020). R. «Grande madre è una preghiera che ha scritto Stefano qualche anno fa e per Symphony era il primo della lista, anche se purtroppo ora Stefano non c’è più. Abbiamo condiviso la vita, era una di quelle persone che lasciano il segno anche soltanto dicendoti “ciao”: si figuri in decenni di collaborazione».

D. Nel Symphony Tour è accompagnato da un’orchestra di under 25. R. «Ci sono giovani musicisti straordinari, del resto l’Italia è la patria della musica e del bel canto. Abbiamo scelto i più fenomenali tra i più bravi dei bravi, li dirige il maestro Diego Basso, che è l’arrangiatore dell’album. Ci tengo a dire che per questo progetto musicale, che ho inciso con due orchestre, ho coinvolto circa 200 elementi. Rifare in chiave sinfonica Uomini soli, Pierre, ma anche Chi fermerà la musica, che sarebbe rock, e sentire che non solo non perdono l’anima, ma si illuminano ancora di più, è un’emozione pazzesca…».

D. Quante band oggi hanno i numeri per durare quanto i Pooh? R. «Durare: lo auguro a tutti! Ma i Pooh sono stati anche fortunati perché sono nati negli Anni 60, nel cuore della rivoluzione musicale… Oltre alle nostre qualità, noi abbiamo potuto anche innovare tecnologicamente, per esempio siamo stati i primi in Italia a usare i laser e a fare concerti-show colossali che molte volte ci costavano più di quanto incassavamo. Penso ai Måneskin, ai Negramaro, band davvero valide, e auguro loro prima di tutto di restare insieme a lungo. I Måneskin ora sono in cima al mondo, è bellissimo. Ma 50 anni sono tanti. Con questo mondo, poi, che cambia gusti e aspettative da un’ora all’altra e corre a mille all’ora, con le nuove generazioni che si dividono fra tremila interessi nella stessa giornata… È difficile pensare in termini di decenni».

D. C’è qualcosa che può insegnare ai ragazzi e che ha insegnato ai suoi figli? R. «Spero di aver insegnato ai miei figli che a livello lavorativo si possono ottenere grandi risultati, ma questi, e vale per tutti, arrivano se hai quella passione che non ti fa dormire, non la passione tanto per dire. La dedizione deve essere totale, bruciante». D. Con suo figlio Francesco è stato coach nel talent The Voice of Italy. Reality gliene hanno proposti? R. «L’Isola dei famosi e anche un Gf, ma non sono cose che mi appartengono. Se capita li seguo anche, sono divertenti, ma a The Voice con Francesco mi sentivo a casa, altrove non saprei proprio come pormi».


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