Non sarà Davide contro Golia, ma Davide contro Rino ci si avvicina abbastanza. Un Toro da zona retrocessione contro un Napoli da zona Champions, poco meno di un testacoda, con buona pace dei tifosi granata che faticano (giustamente) ad accettare l’appartenenza ormai certificata delle due squadre e – soprattutto- delle due società a dimensioni diverse, sostanzialmente opposte.
È che ricordano bene, i suddetti tifosi, come non ci sia bisogno di risalire alla cosiddetta preistoria calcistica di Pulici&Graziani, e nemmeno alle imprese sublimi e gagliarde con Mondonico negli Anni 90, per rievocare un Toro all’altezza del Napoli. Superiore, anzi, visto che nelle stagioni a cavallo tra Cimminelli e Cairo, quando i granata dovettero conquistare due promozioni consecutive dalla B alla A per farne una, gli azzurri partenopei stavano addirittura in Serie C, mica nella Superlega.
Pure loro reduci da un fallimento, ebbero però la buona sorte di trovare un De Laurentiis, mentre sulle ceneri del Torino Calcio si apprestava a mettere radici il pubblicitario alessandrino, poi divenuto editore ai massimi livelli, ma mai dentro i massimi sistemi pallonari. Di colpo, così, il Napoli entrò in una galassia sportiva e finanziaria fuori dalle ambizioni e dalla portata di Cairo, giustificata in questi anni dal bacino d’utenza, dagli incassi al botteghino, dalla forza propulsiva dello stadio San Paolo oggi Maradona; tutte cose che peraltro esistevano già ai tempi in cui il Toro al Napoli stava davanti, o comunque se la giocava. Insomma, la differenza l’hanno fatta i presidenti/proprietari, e i relativi investimenti.
Sta proprio qui, oggi, la seconda sfida di Davide a Rino. La prima è quella – canonica – della partita in sé. Molto meno canonico sarebbe, appunto, ribaltare sul campo, e conseguentemente in panchina, i valori così distanti dei due club: perclassifica contingente, passato recente e prospettive future.
Un’impresa dei granata stasera – perché di impresa, a questo punto, si tratterebbe, considerata la fame di punti che il Napoli ha a differenza, per dire, della Roma – aggiungerebbe davvero un valore extra a quanto già di prezioso (ri)costruito fin qua da Nicola. Anche perché – e arriviamo alla sfida numero 3- Gattuso è l’allenatore che avrebbe potuto stare al posto proprio di Nicola, se Cairo, al crepuscolo di Mazzarri, non si fosse spaventato a sentire i costi di Ringhio e del suo staff. Gattuso – il cui rapporto con De Laurentiis rimane a rischio – è anche l’unico nome con una certa credibilità circolato per il futuro granata quando ancora Nicola doveva ingranare la quarta, non solo quando Giampaolo stava per saltare. Si sa che a Cairo piace e ai tifosi intriga. Ma un Nicola così non piace né intriga di meno. Se battesse pure il Napoli, poi.
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Ne ha cambiato innanzitutto il pensiero, prima ancora di scivolare su qualsiasi argomentazione tecnica. E poi capita, non certo a caso, che a ripeterlo fino alla noia è riuscito a infilarsi nella testa di questo Toro, perché quel «le partite non finiscono mai» è passato dal trasformarsi presto da slogan a comandamento numero uno di un manifesto. Di una filosofia tutta nuova che Davide Nicola, in appena tre mesi, è riuscito a introdurre all’interno del Filadelfia. Lo ha fatto con la coerenza e la serenità di un percorso, senza dover mai ricorrere ad esasperare gli animi anche quando – nella fase iniziale – i risultati non erano immediatamente soddisfacenti, ma accompagnando un intero ambiente verso la convinzione che il Toro aveva le forze e le capacità per ribaltare anche il destino. Novanta, o poco più, giorni dopo i granata si ritrovano ad essere passati dall’essere la squadra più rimontata della Serie A a quella che da gennaio ha guadagnato più punti da situazioni di vantaggio. E c’è una data in cui tutto questo ha avuto inizio: il 19 gennaio, il giorno in cui Nicola ha preso possesso del suo ufficio al Filadelfia.
È stata la potenza di una rivoluzione quella scritta da questo allenatore, con la quale è riuscito a rovesciare anche l’inerzia di una storia.
Prima di lui, infatti, il Toro si era meritato l’amarissimo primato di essere la squadra più rimontata non solo del la Serie A, ma anche tra i principali cinque campionati europei, riuscendo a farsi sfuggire dalle mani ben ventitré punti da situazioni di vantaggio, alcune davvero clamorose: come, ad esempio, era capitato nella sconfitta casalinga contro la Lazio (avanti 3-2 al 95’, finita 3-4) o nel pari di Sassuolo (1-3 al-l’83’, sotto la doccia poi con il 3-3).
Erano stati passaggi decisivi, che avevano svuotato il Toro di fiducia ed autostima. A gennaio, di colpo, lo scenario è cambiato radicalmente: Nicola si è insediato il 19 gennaio, e gli sono bastati pochi giorni per riaccendere il generatore dell’entusiasmo. Perché la notte del 22 gennaio il Toro passava da rimontato a rimontante in casa del Benevento: da zero due a due a due, trascinato dalla doppietta di Zaza.
Da Benevento all’ultima serata di Bologna l’eccezione si è poi fatta regola, lo stupore è svanito finendo per divenire una consuetudine: il Toro di Nicola ha firmato da allora ben sette rimonte, alcune delle quali pazzesche. Come quella di Bergamo, quando, sotto tre a zero, ha risalito la corrente fino al tre a tre al 91’, oppure nell’appuntamento casalingo contro il Sassuolo, la vittoria (3-2) più «pesante» di questo periodo.
Uno dietro l’altro fino al mercoledì di Bologna sono stati undici i punti guadagnati da situazioni di svantaggio. Nessuno, dalla fine di gennaio, ha saputo fare meglio nella nostra Serie A: alle spalle dei granata ci sono il Sassuolo (dieci punti ripresi) e lo Spezia (otto).
Nicola inizia a ripetere con gusto un concetto: «Dobbiamo avere la qualità di giocare sempre da Toro». Lo dice con orgoglio, quasi a petto in fuori: è questione di identità, di tradizione, certo, ma anche di consapevolezza. Sa che nella sua creatura ora c’è un’anima, sa che il suo Toro è davvero infinito.
La competitività conta fino a un certo punto. Nel programmare la formazione, Rino Gattuso bada parecchio alla sostanza, nel senso che non trascura mai chi è in forma, a prescindere dall’importanza del nome. È una rivalità sana, in ogni modo, quella che creato l’allenatore con le sue alternanze.
C’è voglia di lottare in tutti per raggiungere l’obiettivo Champions. Una voglia che ha permesso a Matteo Politano di vincere la concorrenza con Hirving Lozano, il giocatore che ha caratterizzato la prima parte della stagione napoletana. Ha saputo mettersi in discussione, l’ex esterno interista, crescendo nel rendimento di partita in partita, convincendo Gattuso sulle proprie qualità. Tatticamente, è prezioso, lavora su tutta la fascia, garantendo le due fasi. Una condizione che non può prescindere per i due esterni d’attacco: come lui, anche Lorenzo Insigne lavora tanto in questo senso.
È quanto sta chiedendo a sé stesso, Politano. che contro il Torino proverà ad eguagliare il record di gol che ha stabilito nel campionato 2017-18, col Sassuolo, quando realizzò 10 reti. Gliene manca una, adesso, ed ha sei partite a disposizione per migliorarsi. Allargando, invece, il discorso alla stagione, allora i 12 gol realizzati, finora, tra campionato (9), coppa Italia (1) e Europa League (2) rappresentano per lui il massimo mai raggiunto nel corso della sua carriera. Un rendimento, dicevamo, che non conosce pause, so no poche le partite in cui Polutano è stato poco incisivo. Se non ha segnato, ha saputo assistere i compagni: per en 5 volti i suoi suggerimenti sono stati vincenti. Insomma, il suo rilancio ha riqualificato anche il mercato di gennaio 2020. Insieme con l’ex interista, allora, arrivò anche Diego Demme, che ormai è un imprescindibile negli schemi di Gattuso.
Ovvio che l’allenatore tenga sulla corda l’intero organico. Il Napoli non ha mai avuto una squadra tipo, le scelte di Gattu-so, spesso, hanno fatto discutere. Ma i risultati gli stanno dando ragione. omani pomeriggio,
al Grande Torino, modificherà poco o nulla, il tecnico. Nel tridente offensivo, ci sarà Politano, mentre Hirving Lozano andrà in panchina. Per il nazionale messicano si sta procedendo per gradi, dopo l’infortunio muscolare rimediato, al Mara-dona, contro la Juventus. Il ragazzo ha ancora bisogno di trovare la condizione migliore, mentre Gattuso non vuole rinunciare alla buona forma di Politano che anche contro la Lazio, nel turno infrasettimanale, è stato il migliore in campo insieme con Lorenzo Insigne.
Senza paura. «Dobbiamo scendere dal cavallo e andare alla baionetta». Davide Nicola è già carico. Stavolta non ha bisogno di citazioni speciali per “scaldare” le parole. Gli basta una metafora, per rafforzare lo spirito granata in vista della delicata e, ovviamente, difficilissima sfida di stasera contro il Napoli che con il pari della Juve a Firenze si avvicina sempre più alla qualificazione Champions: se dovesse sbancare il Grande Torino, Gattuso raggiungerebbe i bianconeri a quota 66. Queste dinamiche di classifica prospettano problemi ancora maggiori per il Torino. Che, però, rispetto al passato è tornato Toro, ovvero squadra solida e tosta. E, seppur entro certi limiti, anche competitiva. Gli innesti di Mandragora (soprattutto) e Sa-n ab ria hanno alzato l’asticella della qualità. «Il grande insegnamento che ho avuto dalla mia famiglia e che mi porto sempre dietro – prosegue Nicola – è che con l’impegno si può influenzare il futuro». Quindi superare anche gli ostacoli più difficili. E in questo momento il Napoli, per come sta giocando e facendo punti, è il peggiore avversario che potesse capitare; forse pure più dell’Inter, essendo forse lasquadrapiù in fonna del campionato.
Partita guidata da due tecnici che si somigliano molto, che non mollano mai e che spesso riescono ad ottenere dai loro giocatori il massimo. In alcune circostanze anche di più. «E’ un piacere e un onore essere accostato a Gattuso visto che nei suoi confronti nutro stima e simpatia: la grinta e la voglia di non mollare mai ci accomunano». Sarà dunque una sfida tosta che Nicola, considerando le caratteristiche del Napoli, ha preparato conia solita attenzione: «Certe squadre non vanno solo attaccate ma anche contenute». Toro rintanato sottocoperta, dunque? Macché. «Dobbiamo fare il nostro gioco e rispettare l’avversario mettendo in campo tanto equilibrio e concretezza».
Massima attenzione, insomma. « Ma comunque chiedo un Toro coraggioso. I ragazzi mi stanno dimostrando grande carattere, voglio che combattano sino all’ultimo. Occorre creare i presupposti e crederci. Ci può stare di prendere qualche gol e trovarsi sotto mal’importan-te è reagire e la squadra lo sta facendo». Ma col Napoli sarà diverso: se a giocatori come
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