Concentrazione, duro lavoro, serietà. Per la nostra intervista Stefano Accorsi fissa un appuntamento telefonico alle 11.55 precise – non un minuto prima, né uno dopo – e risponde subito. Intimoriti da tanta precisione scopriamo poi un uomo gentile e affabile, che deve la sua carriera anche alla puntualità dell’impegno.
In questi giorni ha debuttato a teatro con lo spettacolo Azul, gioia, furia, fede y eterno amor e spiega che è molto preso dalla messa a punto della rappresentazione. «Il teatro è una festa. E questo lavoro parla dell’essere umano, dell’amicizia, di sentimenti semplici che accarezzano il cuore».
Di tutt’altro tenore è invece la fiction Vostro Onore, in onda su Raiuno dal 28 febbraio, che racconta una vera discesa agli inferi. È la storia di un padre magistrato che, pur di salvare il figlio, si avvia a infrangere la legge della quale è sempre stato un paladino.
Una novità per l’attore che, grazie a questa serie, torna sul primo canale dopo vent’anni di assenza. Che cosa ti ha convinto? «È un bellissimo progetto, che grazie a Raiuno potrà raggiungere un pubblico enorme. È una serie crime, ma anche molto focalizzata sul rapporto padre-figlio».
Nella versione americana il tuo personaggio è interpretato dal grande Bryan Cranston. Una bella sfida? «In realtà noi siamo rimasti fedeli alla versione originale, che è israeliana. Gli israeliani sono molto forti: creano serie intelligenti con costi contenuti dato il pubblico limitato del loro Paese, poi vendono i diritti di remake in tutto il mondo. Noi abbiamo adattato la storia alla realtà italiana».
Com’è il tuo personaggio? «Un uomo che per proteggere il figlio mette in discussione tutto quello per cui ha sempre lavorato. Crede nella giustizia, ma compie una scelta istintiva e primordiale in contrasto con la sua parte più evoluta; questo crea un interessante cortocircuito».
Hai quattro figli: Orlando, 15 anni, e Athena, 12 (avuti con Laetitia Casta), Lorenzo, 4, e Alberto, 1 (con Bianca Vitali). Per loro faresti altrettanto? «Da padre lo posso capire. Il rischio che muoia tuo figlio smuove corde profondissime e anche io farei qualunque cosa per proteggerli. Certe situazioni estreme sono i momenti di verità della vita». Che padre sei? «Sono severo, ma anche morbido perché voglio avere un buon rapporto con i figli.
Ho la fortuna di avere una moglie (Bianca Vitali, ndr) con la quale sono molto in sintonia su come educarli. Impongo le regole a parole e con l’esempio, ma allo stesso tempo non vorrei mai perdere la confidenza con loro, che non mi parlassero perché non si sentono capiti. Trovare questo equilibrio è la cosa più difficile». La serie è girata a Milano, dove vivi da diversi anni, dopo averne trascorsi dieci a Parigi. Come ti trovi? «Bene, è una città accogliente.
Anche il mio figlio maggiore, Orlando, è venuto a vivere qui con noi e si trova a suo agio: la città offre tanto a tutte le generazioni». Avete vissuto qui pure i lockdown. «Milano blindata è stato uno choc. Però in casa tutti insieme era anche una bella opportunità, pure se faticosa perché il piccolo voleva uscire. È stato intenso, tutto strano, a ripensarci ora, molto angosciante. Sembrava non finire mai, come un copione scritto male. Per fortuna adesso sembra si intraveda l’inizio della fine». Sei ottimista? «Di carattere sì. Sono molto proiettato nel futuro, nelle cose che devo fare». Per tornare al discorso del padre, tu che papà hai avuto?
«Molto simpatico, con grande senso dell’ironia, amante del jazz, ex giocatore di basket. Mi faceva molto ridere: essere spiritosi offre un bello sguardo sulla vita, che poi ti rimane». E tu lo sei, spiritoso? «Direi di sì, mi piace ridere e scherzare. Anche sul lavoro amo trovare qualche momento distensivo, che non vuol dire deconcentrarsi, ma porsi con atteggiamento gioioso. In fondo è una caratteristica tipica della mia regione, l’Emilia-Romagna».
Siete anche resilienti. «Mi ha colpito quando nove anni fa, dopo il terremoto, ho fatto alcune rappresentazioni dell’Orlando furioso nelle piazze; c’erano ancora le macerie, ma la gente faceva festa con prosciutto e gnocco fritto. Quello spirito fa parte del Dna della mia terra». Il tuo momento di svolta qual è stato? «Al liceo, un giorno mentre ero esonerato dall’ora di religione, sono uscito e sono andato a iscrivermi alla scuola di teatro.
Fin da bambino volevo recitare: a un certo punto mi è tornato in mente e mi è stato chiaro. Non ho mai creduto nei piani B: io mi butto anima e corpo in quello che faccio». Compiere 50 anni ti ha cambiato? «Sono sempre talmente proiettato sui progetti che non penso a fare bilanci. Poi, certo, faccio sport e mi tengo in forma». È vero che con il tuo libro Album sostieni i genitori di Giulio Regeni? «Un ragazzo rapito, torturato e ucciso in Egitto sei anni fa: bisogna continuare a lottare per ottenere giustizia.
I suoi genitori dal Friuli vanno a Roma per il processo, con costi alti. Ho sempre ammirato la loro dignità, non volevano essere compatiti, ma rispettati. Cerco di aiutarli come posso». A proposito di progetti, hai finito di girare un nuovo film, Ipersonnia. «È ambientato in un carcere un po’ speciale dove, per risparmiare sui costi, ai detenuti viene indotto un lungo sonno: ogni tanto li sveglia uno psicologo». Tu hai frequentato la psicoterapia? «Sì e la consiglio a tutti. L’importante è affidarsi a uno bravo: non è uno sfogatoio, ma un modo per emanciparsi».
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