Milena Gabanelli andandosene l’aveva avvisato: «Ti lascio in eredità Report e l’insonnia». Non scherzava: «Quando andiamo in onda, mi sveglio alle 3.40 del mattino e per me non esiste più giorno, notte o fine settimana. Perché è tanto il peso dei dubbi e delle responsabilità: con una sola parola sbagliata si può rovinare la vita delle persone e io questo non lo dimentico mai».
Il successo del celeberrimo programma d’informazione di Raitre risiede forse in buona parte qui, nell’impegno costante e quasi ostinato del suo conduttore/co-autore/ giornalista di punta, Sigfrido Ranucci, e della sua squadra di cronisti, videomaker, montatori, assistenti al programma, registi. Oltre 40 persone – la più giovane ha 24 anni, i più grandi collaboravano già con la Gabanelli quando Report era agli inizi, nel 1997 – che danno vita a inchieste che lasciano il segno, scatenano dibattiti e, spesso, creano qualche inevitabile nemico. «La credibilità è la nostra forza. Ho tre preziosi collaboratori, Elisa Marincola, Cataldo Ciccolella e Ilaria Proietti, che formano un formidabile comitato di controllo, coordinando tutta la redazione e vagliando milioni e milioni di dati e atti giudiziari».
E data dunque per assodata l’inattaccabilità delle inchieste, «siamo scomodi perché non facciamo sconti a questa o quella parte politica o a questa o quella grande azienda». Il risultato si vede in termini di gradimento del pubblico – persino la replica che va in onda il sabato supera abbondantemente il milione di spettatori – ma anche in tribunale, visto che al momento contro la redazione di Report sono in piedi 175 azioni giudiziarie, tra cui, racconta divertito Ranucci, «persino una querela proveniente dalla Tunisia e dunque scritta in arabo: l’unica parola comprensibile è il mio nome».
Ma come nascono queste inchieste e cosa le rende uniche al punto che persino i grandi network internazionali le prendono a esempio? Intanto, il metodo di selezione delle notizie. «Può essere uno spunto che arriva dall’attualità o anche dal quotidiano, come l’approfondimento sulle cialde del caffè. Oppure una traccia trovata in una delle 75 mila email di segnalazione che riceviamo all’anno, oltre 200 al giorno, molte delle quali anonime».
E cosa contengono? «Di tutto: dalla lite condominiale alla soffiata anonima di un dipendente di qualche grande gruppo industriale. Non buttiamo nulla, ma archiviamo, in caso, magari tra due anni, il tema spunti fuori». Poi si screma. «AlPinizio di ogni stagione si fa una grande riunione di redazione per scegliere gli argomenti da trattare. Nell’ultima, per esempio, abbiamo individuato 45 temi. Poi, seppur con una redazione alle spalle, ciascuno diventa un battitore libero». Dunque, giornalista e videomaker si mettono in viaggio. E iniziano ad approfondire, organizzare incontri, contattare persone da intervistare. Ai riscontri documentali e alla lettura delle carte – indispensabili affinché il ragionamento si regga su pezze d’appoggio concrete – ci pensa chi resta alla scrivania. «È un capitolo indispensabile per evitare scivoloni: le verifiche e ricerca di fonti solide sono la base delle nostre inchieste. Se manca anche solo un documento non si va in onda». Tutto questo dura dai due ai tre mesi.
Ma, finite interviste e riprese, montato e condensato in 50 minuti di video il contenuto delle inchieste, che viene riscritto anche tre o quattro volte, fino alla migliore delle rese, comincia un altro lavoro. Ovvero, la confezione vera e propria del programma. «Andiamo in onda il lunedì sera. Registriamo in studio il sabato pomeriggio quelle che non sono parti di raccordo, ma vere e proprie inchieste nell’inchiesta, con dati ulteriori e una narrazione diversa, moderna, con elementi quasi artistici e tramite una grafica che cerchiamo di innovare di continuo».
Anche perché spesso si tratta di temi ostici, dai meandri della mancata digitalizzazione della Pubblica Amministrazione in giù: «Per rendere interessanti argomenti seducenti come il manuale della caldaia», ironizza Ranucci, «abbiamo dovuto lavorare sul linguaggio, su un montaggio che usa anche mezzi nuovi, strumenti sperimentali. E coinvolgere i social network, per i quali abbiamo formato una squadra di lavoro». Con successo, visto che al momento Report è il programma di informazione che coinvolge più contatti in assoluto in Italia, ma capita che durante la messa in onda entri persino nelle classifiche mondiali. «Tramite la squadra social abbiamo lanciato Report for future, incentrato su temi ambientali, diretto ai ragazzi delle scuole con i quali organizziamo approfondimenti mirati e dibattiti. Dopo il primo lancio, abbiamo ricevuto di colpo cento richieste e ora stiamo cercando di gestirle, non ci aspettavamo un tale successo».
Ma ogni luce ha la sua ombra ed ecco che a ottobre la notizia diventa la violazione da parte di un hacker del conto bancario privato di Ranucci. «Non è stato prelevato denaro, ma si voleva ricostruire la mia rete di relazioni, i miei dati personali, indirizzi, telefoni e email». Un episodio inquietante. «Sono sotto tutela a fasi alterne dal 2009, dopo un’inchiesta sulla criminalità organizzata in Sicilia: significa che si è ritenuto necessario che io avessi degli agenti sotto casa per la tranquillità mia e della mia famiglia.
Un attacco al mio conto bancario non mi intimidisce personalmente, ma penso si voglia rendere vulnerabile il programma e la protezione delle sue fonti: chi farà più una segnalazione anonima se non è sicuro di essere tutelato?». Ce n’è da non dormire la notte. Anche perché, tornando al montaggio della singola puntata, si lavora la domenica. «Dopo che abbiamo girato il sabato, montatori e regia ci lavorano fino a mandarmi una prima versione a notte fonda, la domenica alle 6, fresco, la guardo e mi segno le modifiche. Si continua così in pratica fin quasi all’ora di messa in onda, il lunedì sera». Limando, aggiungendo riscontri, togliendo le parti che non ne hanno a sufficienza. Ricominciando da capo, se necessario. Aveva ragione la Gabanel- li: Report e insonnia, che grande eredità.
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