Stando alle dichiarazioni dei consulenti di allora, la traccia di Dna 31G20, isolata sugli slip e sui leggings di Yara Gambirasio (considerata la prova regina per la condanna di Massimo Bossetti, ndr), è forse l’unica traccia effettivamente esaurita nelle analisi dei Ris. Lo ammettiamo…
Tuttavia, siamo in attesa di capire se possiamo riesaminare, e come, gli altri 54 campioni di Dna conservati a Bergamo e che la Procura definisce scartini”. È una dichiarazione clamorosa quella di Claudio Salvagni e Paolo Camporini, i due legali di Massimo Giuseppe Bossetti.
Gli avvocati l’ hanno rilasciata all’indomani dell’ennesimo braccio di ferro giudiziario con la Procura di Bergamo. Bossetti, oggi 50 anni, è stato condannato all’ergastolo in via definitiva per l’omicidio della 13enne Yara Gambirasio, avvenuto il 26 novembre del 2010.
La ginnasta di Brembate Sopra (Bergamo) scomparve fuori dalla palestra dove si allenava a pochi metri da casa e fu ritrovata morta il 26 febbraio del 2011 in un campo di Chignolo d’Isola, a otto chilometri di distanza. Il suo cadavere aveva “parlato”, restituendo una traccia biologica maschile sconosciuta, denominata appunto “Ignoto 1”.
Fu isolata sugli slip e sui leggings della ragazzina e, quindi proprio per questo, certamente del suo assassino. Questa traccia, dopo anni di indagini genetiche e tradizionali, portò all’individuazione e all’arresto di Massimo Bossetti. È lui “Ignoto 1”. Malgrado le tre sentenze di condanna, il muratore si dichiara innocente. Da parte loro, gli avvocati insistono nel voler ripetere l’esame di quel Dna, che è la prova regina e sul quale finora non ci sono stati dubbi.
Torniamo da dove siamo partiti. L’affermazione che avete letto all’inizio, per cui il campione della traccia principale (quello su cui fu estratto il Dna di Bossetti) è esaurito, è stata fatta proprio dai legali del muratore la settimana scorsa.
L’hanno rilasciata al termine della lunga udienza in Corte d’Assise in cui si sarebbe dovuto decidere se e come i difensori e i loro consulenti avrebbero potuto visionare i reperti del caso che ha scosso il Paese e continua a far discutere.
Durante il processo di primo grado il professor Giorgio Casari dell’ospedale San Raffaele di Milano aveva infatti detto che c’erano ancora residui di materiale da analizzare, anche se, secondo gli esperti, non avrebbero potuto dire molto. Su questa diatriba i legali di Bossetti hanno perfino denunciato la Procura di Bergamo con una grave accusa: frode processuale.
A riguardo, gli ispettori del Ministero della Giustizia hanno acquisito le relazioni del pubblico ministero che, tuttavia, difende la sua opera. Il procedimento “parallelo” pende davanti al Tribunale di Venezia, competente per i magistrati di Bergamo. Ma non se ne hanno ancora notizie. Andiamo avanti.
La vicenda dei reperti sembrerebbe puramente tecnica ma non lo è, dal momento che se la Corte d’Assise di Bergamo decidesse di avallare la richiesta degli avvocati della difesa, potrebbe condurre, molto teoricamente, a una revisione del processo. Massimo Bossetti, che si trova nel carcere milanese di Bollate, dal quale – come dicevamo prima – continua a urlare la sua innocenza, ha chiesto addirittura ai giudici di Bergamo «di ripristinare la legalità».
Queste parole fanno intendere l’atteggiamento di estrema criticità che hanno avuto lui e i suoi legali nei confronti della Procura e in particolare nei confronti di Letizia Ruggeri, il pubblico ministero che ha sostenuto l’accusa fin dalle prime indagini.
L’avvocato Claudio Salvagni dice: «La Procura, dopo un acceso confronto, ha definito i 54 campioni di Dna che provengono da slip e leggings come “scartini”. Stiamo parlando degli stessi campioni su cui, secondo il professor Giorgio Casari dell’ospedale San Raffaele di Milano, uno degli scienziati che analizzarono i campioni di Dna, si potevano fare ancora nuovi esami.
Questa definizione della Procura (scartini, ndr), dunque, per noi non restituisce un buon lavoro». Ecco perché la richiesta dei legali è sempre questa: «Noi vogliamo esaminare tutti i reperti e riesaminare i campioni in contraddittorio, visto che l’indagato non ha mai potuto farlo», ha aggiunto l’avvocato Paolo Camporini, che ha detto ancora: «Già a novembre del 2019 il giudice Giovanni Petillo ci aveva autorizzati e la Procura non aveva impugnato il provvedimento.
In questa udienza avremmo dovuto solo discutere delle modalità, invece secondo la Procura l’atto del giudice era stato esclusivamente amministrativo, e quindi non siamo autorizzati! È assurdo se pensiamo che la Corte di Cassazione ci aveva invece autorizzato… Ma d’altronde in questo processo nulla è scontato!».
Viterbocitta.it è un giornale online approvato anche da Google News. Per ricevere i nostri aggiornamenti e restare informato su questo argomento ti invitiamo a seguirci sul nostro profilo ufficiale di Google News