Massimo Cannoletta chi è? Che c’entra con Van Gogh

Massimo Cannoletta, sapete chi è il campione de L’Eredità che in queste settimane ha davvero conquistato ogni tipo di record? Il concorrente sembra aver davvero conquistato tutti con la sua “super mente”. Massimo è riuscito a trovare le risposte giuste, anche quelle più strane e più incredibili. Ma avete idea di chi sia Massimo, il concorrente di ogni record del programma Rai condotto da Flavio Insinna? Vediamo un pò di scoprire qualcosa su di lui.

Massimo Cannoletta, chi è il concorrente dei record de L’Eredità?

Il suo nome sicuramente rimarrà nella mente di tutti i telespettatori del programma e difficilmente verrà dimenticato. Nel 2020 ha fatto il suo ingresso nello studio de L’Eredità, il programma in onda su RAI 1 e condotto da Flavio Insinna. Fino ad oggi ha vinto ben 202.500 euro avendo partecipato in totale a 27 puntate. Ma chi è? Di lui sappiamo che è nato nel 1974 ed è originario di Acquarica, in provincia di Lecce. Massimo si è laureato in Scienze politiche, oggi parla ben 4 lingue ed è un divulgatore culturale.

Lavora, quindi, in ambito musicale, storico e artistico ma non da sempre, visto che in passato ha lavorato sulle navi da crociera, ricoprendo un ruolo molto interessante. Quale? Faceva delle conferenze raccontando la storia di luoghi che sarebbero state la meta del viaggio. Proprio sui sui canali Instagram e Facebook, a catturare l’attenzione è stata la presentazione del suo progetto come divulgatore. Ecco le sue parole: “Dopo due giri del mondo raccontando la storia, l’arte, la musica e i viaggi, il momento di farlo anche in podcast Massimo20 minuti”.

Vita privata

Della sua vita privata non si fa molto, ma qualche dettaglio è possibile reperirlo sul web e nello specifico dai suoi profili social. Ad esempio, sappiamo per certo che Massimo Cannoletta non è sposato e non sembra abbia qualche relazione in corso. Tuttavia non è possibile con certezza affermare se Massimo sia single o fidanzato.

Le passioni del concorrente de l’Eredità

Ciò che è certo, è che Massimo ama tanto viaggiare e i suoi profili Social sono ricchi di scatti mozzafiato fatti durante alcuni dei suoi viaggi in giro per il mondo. Massimo è un uomo dalle tante passioni, ama infatti la musica, l’arte e la storia. Sarà forse proprio per questa sua grande fame di conoscenza che ha un ricco bagaglio culturale che sicuramente l’ha portato a imporsi tra i più grandi campioni di sempre del programma di Rai 1. In queste settimane è stato addirittura soprannominato Google vivente.

Vincent Van Gogh e il Giappone. Chi l’avrebbe mai detto? Cosa lega alla terra del Sol Levante il pittore olandese delle notti stellate e dei girasoli? Non una conoscenza diretta (Van Gogh non mise mai piede in terra giapponese; nella sua vita breve e travagliata si mosse in uno spazio circoscritto a una manciata di Paesi europei), ma una data: 1853, anno di nascita di Vincent che segna anche un punto di svolta nella storia giapponese, caratterizzata fino a quel momento dal lungo periodo chiamato Edo.

Durante questa fase durata più di due secoli, la dinastia dei Tokugawa detiene il potere (dal 1603) e assicura stabilità al Paese, servendosi anche della repressione e mantenendo un quasi totale isolamento dal resto del mondo.

Una chiusura verso le influenze esterne che spesso si rivolge ai missionari cristiani, uccisi o costretti a calpestare i crocifissi e quindi all’abiura, la rinuncia alla propria religione, come racconta magistralmente Martin Scorsese nel suo film Silence. Fa eccezione a questo ferreo isolamento, in nome dell’economia, la ricca classe dei mercanti benestanti: una classe agiata e spensierata, chiamata Ukiyo, il “mondo fluttuante”.

Ai suoi appartenenti sono consentiti scambi commerciali, limitati ad alcuni Paesi (soprattutto Cina, Corea e Olanda), dal porto di Nagasaki. Tra i loro usi, quello di intrattenersi con le geisha, donne colte e raffinate, figure spesso travisate e mai del tutto comprese da noi occidentali. Quando una geisha è particolarmente amata, il mercante la fa ritrarre e porta con sé la sua immagine, come oggi noi terremmo una fotografia o uno scatto nel telefonino.

Nel 1853, mentre in Olanda Vincent Van Gogh viene alla luce, il secolare isolamento nipponico viene forzato e si interrompe: l’americano Commodoro Perry obbliga il Giappone ad aprirsi ai Paesi stranieri. All’inizio i giapponesi sono incuriositi ma anche timorosi per la propria identità e le proprie tradizioni. Finisce il periodo Edo e il nuovo imperatore Meiji si apre al mondo, incoraggiando il popolo giapponese ad imparare dall’Occidente e ad adottare pratiche occidentali.

L’arte giapponese inizia a diffondersi, arriva in Europa e a Parigi, dove suscita un tale entusiasmo da creare una moda, ribattezzata Japonisme. Nel 1867 viene presentata all’Esposizione Universale di Parigi e i francesi sono stregati. Inizia così una frenetica importazione di manufatti e stampe orientali.

Artisti come Degas, Monet e Manet apprezzano l’arte giapponese perché la considerano un modo nuovo di vedere il mondo, con le sue forme bidimensionali, le linee nitide, i delicati dettagli della natura, le ampie superfici colorate e delineate da contorni netti. Pure Van Gogh ne è immediatamente affascinato, ma all’inizio la vede anche come un investimento: compra almeno 660 stampe giapponesi su matrice in legno per poi rivenderle a prezzo maggiorato e ricavare un guadagno.

Non ha tanti soldi, compra le più economiche. Le espone in un caffè, però non trova acquirenti, quindi alla fine le tiene per sé. Ma non le ignora, anzi le studia e si lascia ispirare. Approfondisce dunque la cultura di quella terra lontana, legge libri sull’arte giapponese e ama molto il romanzo Kiku-san, la moglie giapponese di Pierre Loti, uno scrittore francese che aveva viaggiato in Giappone. Il romanzo svela un mondo nuovo e sarà una delle fonti d’ispirazione per l’opera Madama Butterfly. Vincent scrive al fratello, mercante d’arte: “Caro Theo, invidio i giapponesi. L’estrema chiarezza di tutte le cose che loro posseggono.

Non è mai noioso e niente pare fatto in fretta. Il loro lavoro è semplice come il respiro ed essi fanno una figura con pochi tratti sicuri, con la stessa facilità che se abbottonassero il gilet. Bisogna che arrivi a fare una figura in pochi tratti, questo è un problema che mi terrà occupato tutto l’inverno.” E infatti inizia a sperimentare: prima ne imita lo stile, poi lo rielabora e lo fa proprio. Così nascono le sue Giapponeserie. In italiano suona quasi come un termine spregiativo, ma in lingua francese evoca visioni di esotismo e poesia. Vincent tappezza le pareti dello studio di stampe giapponesi e scrive ancora al fratello Theo: “Mi divertono molto, conosci quelle figurine di donna in giardino, sulla spiaggia, cavalieri, fiori e rami contorti e nodosi, colmi di spine…”.

Proprio una di queste figure ispira la celebre Giapponeseria: Oiran del 1887. Van Gogh vede sulla copertina di una rivista l’immagine di una Oiran, una cortigiana d’alto bordo che indossa l’uchikake, un abito da cerimonia nobiliare, ai nostri giorni indossato dalle spose.

L’immagine colpisce Vincent, che la dipinge, ma non realizza una semplice copia. La vede con gli occhi di Van Gogh: le tonalità sono più accese che nell’originale, il quadro è più vivace e intenso, il colore esplode e le pennellate sono decise, l’impasto dei colori è spesso, la materia esce dalla tela, non è bidimensionale come nelle stampe originali. Attorno alla figura femminile aggiunge un canneto, uno stagno, le ninfee, due gru, una barca, una rana: elementi che ha notato in altre stampe e usa qui per incorniciare la protagonista.

Nelle sue Giapponeserie, quindi, Van Gogh non copia, ma reinterpreta, vede i soggetti con i propri occhi. Anche quando, stanco del grigiore di Parigi, va a vivere nel sud della Francia, ad Arles, porta con sé l’amore per l’arte giapponese, che tornerà periodicamente a riaffacciarsi nei suoi dipinti. È evidente, per esempio, nel Ramo di mandorlo fiorito, che Van Gogh dipinge per regalarlo al fratello Theo, appena diventato padre di un bimbo che si chiama Vincent Willem, come lo zio pittore. I temi non sono più giapponesi.

Qualcosa rimane nello stile, ma è un altro Van Gogh, un uomo con problemi mentali che lentamente si stanno acutizzando, ma anche un artista folgorato dal calore e dall’intensità della luce e dei colori della Provenza. E così arrivano i girasoli, i campi di grano, la casa gialla e tutti i suoi dipinti più iconici e popolari, che scandiscono i drammi personali, la rottura con Gauguin, il misterioso episodio dell’orecchio mozzato e la sua morte ancora più misteriosa. Il Giappone riecheggia talvolta nelle sue ultime pennellate, ma, come dichiara lui stesso in una lettera: “Ora che ho visto il mare capisco l’importanza di restare nel Mezzogiorno […]. Ritengo che il futuro dell’arte risieda nel Mezzogiorno”. Il Sol Levante lascia il posto al sole del Mediterraneo, che illumina e riscalda l’ultimo Van Gogh.


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