Desirée chi è l’ex compagna di Samuele Bersani? La storia e intervista

Questa sera ospite ospite in via dei Matti n 0 nella trasmissione missione musicale condotta da Stefano Bollani e Valentina Cenni, ci sarà un altro personaggio molto apprezzato dal pubblico italiano, Samuele Bersani. Cerchiamo di capire qualcosa di più Sul suo privato.

Desirèe è stata per molti anni la compagna ufficiale di Samuele Bersani, il cantautore gli dedico anche una canzone  ”En e Xanax”. Come è nata questa canzone, è veramente particolare, proprio Samuele Bersani in un’intervista di qualche tempo fa ha raccontato un aneddoto divertentissimo del loro primo appuntamento.

Infatti la prima volta che che si erano dati il primo appuntamento entrambi li presero due ansiolitici, lui lo Xanax e lei lo En.

All’epoca erano una coppia molto affiatata, e facevano progetti anche per il futuro. Purtroppo, non sappiamo i motivi gli hanno portati a dividersi, di certo, del loro amore rimane una bellissima canzone.

Samuele Bersani è nato a Rimini nel 1970, tutta la sua infanzia ed il primo periodo della sua adolescenza lo vive a Cattolica. Il padre suona uno strumento il flauto, maestro di musica ed ha sempre lavorato nell’ambito del teatro.

Ha da poco compiuto 50 anni: come l’ha presa?
«Ha coinciso con l’uscita dell’album, quindi tutti mi facevano i complimenti per le canzoni e poi forse mi facevano gli auguri, non ho potuto fare una festa, è come se non fosse stato un vero compleanno».

Un bilancio lo ha fatto?
«No, ma sento che a 30 anni non ero meno adulto di oggi, la differenza è solo che ho fatto più esperienze. Con gli anni penso di più all’altra persona che a me, se mi sembra di far male mi sottraggo, un tempo non ero così. Poi sono contento ma non ci può mai essere una piena soddisfazione. Penso per esempio che Il tuo ricordo debba diventare più popolare, è una canzone che merita di essere ascoltata. E siccome non sono nella tendenza di oggi e non ho la potenza comunicativa di un trapper, io dipendo dal passaparola umano».

Come va con i social?
«Tutti i miei follower sono veri e rispondo io ai messaggi. La gente fatica a crederci».

Quando lei era giovane a un certo punto era andato a Non è la Rai e finiva anche nei poster di Cioè.
«Già, incredibile, ero diventato un’altra cosa da me stesso, non so neanche perché. O forse perché ero giovane e carino. Mi ricordo benissimo una scena, io sul set del video di Spaccacuore, mi dicevano: sbottonati la camicia! E io non volevo, ero pure mezzo rachitico… Poi mi invitano ad aprire le date del tour italiano dei Take That. Io arrivavo con lo zainetto e tiravo fuori due cavolate, loro avevano le mega sovrastrutture…».

Pacifico, suo amico e collega cantautore, ha scritto che quando componeva le canzoni del disco tutti si chiedevano se fosse pazzo, che scriveva delle parole su foglietti, «briciole» che poi sono diventate questo album.
«Gino (De Crescenzo, in arte Pacifico, ndr) è venuto a trovarmi nei periodi peggiori, cioè nel momento creativo. Non sono molto ordinato in generale, quando scrivo va ancora peggio, mia madre da Cattolica vuole venire a pulire e io le dico: no, per carità! Non ho un libro di brutta copia e uno di bella, io la vivo così, la creatività è una furia, che stavolta è tornata dopo anni di difficoltà con me stesso».

Ha avuto un blocco creativo.
«Una difficoltà a tirar fuori le parole su cui si era sedimentata una barriera di calcare che non riuscivo a rompere. La canzone, come tutto quello che non esiste e poi c’è, è un mistero. E il rischio della noia è fortissimo. Le faccio un esempio: è come quando cambi morosa e devi ricominciare a raccontare gli aneddoti della tua vita e magari in passato ti è già capitato 4 o 5 volte, insomma, arrivi stanco. Invece ci sono quelli che ci credono e li raccontano sempre. Le canzoni funzionano così».

E che cosa le ha dato poi la spinta per scrivere questo album?
«Una tale mancanza di autostima… a volte devi arrivare al fondo della piscina per risalire e io da lì sotto ho visto la luce e ho preso una boccata di ossigeno. Sono stato un anno a Milano, una cosa assolutamente ingiustificata, non ho mai visto neanche il Duomo…». (ride)

Ma perché?
«Avevo bisogno di staccare, di perdere delle abitudini, come leggere Repubblica.it ogni dieci minuti».

Ha detto che questo album voleva scriverlo a Ginostra.
«Sì, è il mio luogo del cuore. Io e due musicisti siamo arrivati con 13 colli. Ma l’acqua calda d’inverno scarseggia, non c’è molto da fare, per arrivare alla casa c’era bisogno di due asini… insomma, c’è stato subito un ammutinamento, i musicisti sono scappati. In tutto è durata due giorni e mezzo l’impresa, la mia più epica credo».

È un romantico?
«Sì, deve esserci una ragione di bellezza: un panorama, un luogo o una musa. Qualcosa che guardi per ispirarti».

Quali muse ha avuto?
«Bologna. E per questo album il passato e il presente. Dovevo fare i conti con il passato e nello stesso tempo vicino a me c’era una persona che sopportava le mie dodici ore quotidiane chiuso nello stanzino pur di stare con me a cena. Questo è diventato il presente in cui credo».


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