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Spunta un accenno di sorriso sulla faccia di Andrea Pirlo, alla domanda su quanto sia cambiata la Juventus dalla sfida d’andata con la Roma. Un accenno di sorriso con cui snocciola spontaneamente un paio di errori di valutazione: «Riguardando la partita con i miei collaboratori abbiamo visto che non mandavamo McKennie a saltare sugli angoli e facevamo battere i calci piazzati a Kulusevski. Non avendo fatto amichevoli non potevamo ancora sapere cosa fosse meglio fare per i giocatori. Poi abbiamo scoperto che Kulusevski non è un grandissimo calciatore di angoli e che McKennie è bravissimo ad andare a saltare».

Un accenno di sorriso in cui c’è tutta la serenità di un allenatore convinto di aver trovato la sua squadra. Consapevole di non aver certo finito il proprio lavoro, ma sicuro di essere sulla strada giusta: «La mia Juve ideale? Manca sempre qualcosa, è difficile trovare la perfezione. Cerchiamo di lavorare per migliorarci e lo stiamo facendo: siamo molto più equilibrati, curiamo meglio le transizioni (perdita o conquista del pallone, ndr) e abbiamo trovato il nostro modo di giocare con posizionamenti ben definiti, con i movimenti degli esterni e dei difensori che ci permettono di costruire a volte a tre e a volte a quattro. Siamo al 70-80 per cento, perché abbiamo quasi tutta la rosa a disposizione e posso scegliere e questo è importante. Trovare la perfezione però è difficile: speriamo di riuscirci presto…».

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Se il punto d’arrivo è ancora avvolto dall’incertezza del futuro, quello della svolta Pirlo lo ha chiarissimo in mente. «Le cinque vittorie di fila non sono un messaggio per nessuno, solo per noi stessi: servono a caricarci di adrenalina, perché quella e l’ambizione di voler vincere non devono mai mancare. Lo abbiamo riscoperto solo dopo le sconfitte con Fiorentina e Inter. Da lì siamo migliorati molto sull’aspetto mentale, la sconfitta di San Siro ci ha aiutato a far capire che bisogna essere sempre concentrati in ogni partita. Mi sono anche arrabbiato e abbiamo parlato dopo quella sconfitta, perché non eravamo stati noi. Fortunatamente c’era una finale dopo tre giorni ed è stato più facile toccare certi tasti. Da lì siamo ripartiti, perché volevamo alzare il primo trofeo e riuscirci ci ha dato una grande consapevolezza: sapere che se non giochiamo tutti di squadra i risultati faticano ad arrivare; se c’è il sacrificio di tutti e la voglia di raggiungere il risultato fino all’ultimo secondo, allora diventiamo e torniamo forti come una volta». Forti da Scudetto: «Questo è un campionato particolare: Milan, Inter, Roma, Napoli, Atalanta… Sono tutte attrezzate. Tante squadre possono ambire allo Scudetto e noi siamo una di queste».

Tutte attrezzate, ma nessuna ha Cristiano Ronaldo. E non solo Cristiano Ronaldo. «Di Ronaldo sapevo che giocatore che professionista fosse, però vederlo allenarsi tutti i giorni è stata una sorpresa. Perché ha ancora grande passione e si diverte: quando arrivi a giocare a 36 anni, hai stravinto tutto e hai battuto tutti i record, se hai ancora questa voglia e questa motivazione vuol dire che sei un eroe. Ce l’ha lui, ce l’ha Buffon, ce l’ha Chiellini, ce l’ha Bonucci. E’ la passione che li porta ad ambire sempre a vincere trofei». E che stanno trasmettendo, a cominciare da capitan Chiellini, a tutti i nuovi: «Giorgio aiuta tantissimo sull’aspetto mentale: perché è abituato a vincere, sa cosa vuol dire raggiungere le vittorie con il sacrificio, stringere i denti fino all’ultimo minuto. Lo spirito della Juventus, che non deve mai mancare». E Pirlo sembra convinto che non mancherà più.

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La Roma ci prova. Perché, nonostante il terzo posto in classifica, i giallorossi non hanno ancora vinto contro una delle prime otto squadre in classifica in questa stagione. L’occasione si (ri) presenta questa sera, all’Allianz Stadium, già violato ad agosto nell’ultima giornata dell’anomalo scorso torneo. Una partita che contava poco e nulla, simile a un’amichevole con Maurizio Sarri già vincitore dello scudetto e Paulo Fonseca sicuro del quinto posto. Oggi il portoghese vuole tenersi stretto il podio: «Non voglio fare paragoni, noi e la Juve siamo due squadre diverse. Loro sono fortissimi e hanno un grande allenatore. Sono diversi da inizio stagione, hanno più lavoro dietro con Pirlo, sono più intensi e dinamici. Inoltre possiedono grandi individualità. Noi però siamo in un buon momento, siamo in fiducia. Ci siamo rafforzati grazie alle vittorie, alle gare giocate e agli atteggiamenti in allenamento». Una Juventus dunque più forte di quella affrontata all’andata, quando la Roma si fece rimontare nel finale: «Non sono mai soddisfatto quando non vinco, ma non ho rimpianti di quella partita in particolare. Dobbiamo sempre avere ambizione».

Il caso Edin Dzeko ha catalizzato l’attenzione nelle ultime due settimane. Oggi il bosniaco ci sarà ma partendo dalla panchina, lasciando spazio a Borja Mayoral: «Quello che rinforza il gruppo sono le vittorie e l’atteggiamento in allenamento. Parliamo di due calciatori diversi, Dzeko è più forte nel legare l’attacco, Borja è più profondo, ma hanno entrambi le caratteristiche per giocare il nostro calcio». Le polemiche tra lui e l’ex City ormai fanno parte del passato: «Non ho da dire nulla in più rispetto a quello che ha detto il nostro general manager Tiago Pinto. Abbiamo parlato, Dzeko si è allenato bene ma con la Juve sarà Cristante il capitano». Pellegrini è infatti squalificato, un’assenza che potrebbe trasformare leggermente l’assetto, regalando un centrocampista in più in mediana con il passaggio dal 3-4-2-1 al 3-5-2: «Quella di avvicinare Mkhitaryan a Mayoral può essere una soluzione, dipende dall’immaginazione», sorride il portoghese. Con El Shaarawy che rimane a casa, come Reynolds, e le defezioni di Smalling, Pedro e Pellegrini, le scelte appaiono limitate. Paulo però regala qualche indicazione. A partire dal portiere: «Mirante sarà con la squadra, ma giocherà Pau Lopez. El Shaarawy invece non ci sarà perché sta facendo un lavoro individuale per recuperare la conduzione fisica. Al centro della difesa giocherà Ibanez. Villar ha caratteristiche per giocare vicino ai difensori ma anche per stare più avanti, sa fare entrambe le fasi. Pedro fuori da 20 giorni? Ha fatto grandi partite qui, ora è infortunato e sta recuperando. Penso che la prossima settimana potrà tornare con la squadra, è importante per tutti e ha caratteristiche che mi piacciono molto».

Una gara, quella di questo tardo pomeriggio, che s’intreccia con il futuro di Fonseca. Perché il tecnico ha il contratto in scadenza e al di là delle belle parole di Pinto, è consapevole che la sua permanenza dipende dall’accesso o meno alla prossima Champions (League nel contratto esiste una clausola che, a obiettivo raggiunto fa scattare, automaticamente il rinnovo di un anno). A domanda diretta, Paulo fa finta di nulla: «Io penso solo al presente e alla Juve. Conta solo quello che possiamo fare adesso». Ma mai come questa sera servirebbe la pennellata d’autore. Sinora la Roma ha raccolto 40 punti in classifica, conseguenza dell’en plein contro le formazioni meno attrezzate, con 11 successi su 11 partite. Manca, insomma, l’acuto nello scontro diretto con una delle migliori. Pirlo è avvisato.

Funchal e Madeira sono zona ancora (relativamente) tranquilla, vista la condizione insulare. Ma Cristiano Ronaldo non può non essere preoccupato per il Portogallo, il suo Portogallo. A pochi giorni di distanza dalla partita con il Porto la situazione del Paese affacciato sull’Atlantico è a dir poco drammatica, per quanto riguarda il Covid 19.

Al punto che anche il calcio è a rischio: non tanto per il possibile contagio quanto, piuttosto, per le decisioni che sono state prese per contenerlo. E se la trasferta della Juventus del 17 febbraio non è a rischio, visto che per l’Uefa sussistono le condizioni per giocare il match di andata degli ottavi di Champions League, non altrettanto può dirsi per Benfica-Arsenal del giorno dopo, visto il divieto a ingressi dal Portogallo imposto dal governo britannico: il gruppo dei Gunners sarebbe infatti costretto a una quarantena in isolamento, con inevitabili ripercussioni sulla Premier.

Per ironia della sorte, proprio dall’arcipelago britannico è arrivata la variante (la ormai nota versione inglese) che sta mettendo in ginocchio una delle nazioni che meno avevano sofferto nella prima ondata del contagio. Il mese di gennaio ha così registrato, da quando è partita la pandemia, quasi la metà dei morti (5.576 su 13.842) e degli infetti (306.838 su 748.858).

Il picco si è toccato il 28 gennaio, con 16.432 contagiati, la media degli ultimi sette giorni è di 10.285, per un totale di 748.858 persone che hanno contratto il virus. Una cifra che pone il Portogallo in testa nella non felice classifica europea in termini percentuali, con il 7,41% dei contagiati su una popolazione di poco più di 10 milioni di abitanti, davanti di poco alla vicina Spagna (6,13%) e nettamente più lontano da Gran Bretagna (6%), Francia (4,85%) e Italia (4,30%).

Negli ultimi giorni la curva ha cominciato a scendere (ieri 7.941 contagiati e 225 morti), ma la realtà resta complicata, soprattutto nel nord del Paese, dove è attesa la Juventus, visto che i 1.430 positivi delle ultime due settimane sono stati il dato più alto d’Europa.

La recrudescenza non ha risparmiato il calcio: il 19 gennaio 17 casi al Benfica, con 5 giocatori. E ha messo in ginocchio il Portogallo che, dal 28 gennaio, ha limitato i viaggi all’estero, mentre le scuole sono chiuse e lo smartworking pressoché obbligatorio, per uno stato d’emergenza dichiarato fino a marzo. E si pensi che il 27 dicembre i contagi erano stati solo 1.577: quello è stato l’ultimo giorno tranquillo.

Gli esperti indicano due situazioni che hanno facilitato la diffusione del Covid: l’allentamento delle restrizioni nel periodo natalizio e le elezioni presidenziali tenutesi il 24 gennaio. Oggi il Portogallo si ritrova in enorme difficoltà e con le strutture sanitarie allo stremo, al punto che la Germania ha inviato un volo con 24 medici e paramedici, macchinari per la terapia intensiva e la ventilazione. Il gruppo si fermerà almeno tre settimane per dare un mano a chi è in difficoltà. Passaggi che evocano tristemente da vicino che cosa accadde in Italia nella prima ondata e che danno la dimensione della gravità.


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