Vittorio Sgarbi racconta la sua rinascita

Nemmeno il tempo di dire apertura che Vittorio Sgarbi ricomincia a girare l’Italia come una trottola. Instancabile curatore di mostre e di attività per far conoscere le bellezze del nostro Paese, l’abbiamo colto a Gualdo Tadino, in una rarissima apparizione assieme alla compagna Sabrina Colle, nell’ex chiesa sconsacrata di San Francesco, oggi polo museale, dove hanno posato per noi fra gli affreschi del Quattrocento.

Ricomincia la vita e riaprono i musei. «Sì, in questi mesi si sono sovrapposte la mia malattia e quella dell’umanità, il coronavirus, che hanno sospeso qualunque attività tranne quella parlamentare, che mi permettava comunque di uscire. Il 13 marzo 2020 dovevo andare a trovare Pupi Avati per parlare del film sui miei genitori, Lei mi parla ancora, tratto dal romanzo di mio padre, ma lui mi scrisse che sua moglie non voleva vedere nessuno, nemmeno la domestica. Lì ho compreso che il distanziamento valeva anche per me».

Le è piaciuto il film di Avati? «Bellissimo, l’interpretazione di Renato Pozzetto, nel ruolo di mio padre, mi ha fatto commuovere: meritava il David di Donatello. Ora gli daranno il Nastro d’argento».

Come ha vissuto i mesi di chiusura? «A gennaio 2021 mi hanno diagnosticato il cancro, il che mi ha costretto a fare visite mediche di ogni tipo, finché mi hanno prescritto quaranta giorni di radioterapia all’ospedale Regina Elena di Roma, con il professor Giuseppe Sanguineti. I primi quindici giorni mi sono sembrati una passeggiata, poi ho cominciato a sentire gli effetti collaterali, come andare in bagno spesso, che mi indeboliscono tutt’ora».

Ora per fortuna la terapia è finita. «Sì, contemporaneamente alle chiusure, che considero arbitrarie e grottesche, da allora la mia agenda è di nuovo fitta e non ho più un giorno libero. Sono in scia con la ripresa. Ho già inaugurato diverse mostre: nonostante qualche affaticamento in più, non mi fermo.

Anche se mi tocca leggere cretinate come quelle di chi mi accusa di aver autenticato dei quadri falsi di Gino De Dominicis. Un processo basato su pettegolezzi: dopo la pausa riprendono anche le azioni giudiziarie senza senso».

Perché dice le “chiusure grottesche”? «Oggi in Parlamento sento Speranza [ministro della Salute, ndr], che l’anno scorso multava chi faceva il bagno in mare o passeggiava in un bosco, dire che c’è molto più pericolo di contagio al chiuso che all’aperto: roba da denuncia.

Le chiusure erano tutte arbitrarie. La legge del 20 settembre 2015, detta Legge Colosseo e voluta da Franceschini, dice che i musei sono servizi essenziali come i trasporti e gli ospedali. Però sono stati chiusi. Invece sono fondamentali per il benessere psichico delle persone.

Oltretutto i siti archeologici sono all’aperto: potevo passeggiare nella strada principale di Paestum, ma non nel sito lì accanto. Chiudere un sito archeologico è un crimine contro l’umanità e nessuno mi convincerà che era necessario farlo. Perché i supermercati erano accessibili e i musei no? In Spagna, dove ci sono stati meno morti, musei e teatri sono rimasti aperti. Abbiamo subito una violenza».

Per questo si ribellava alla mascherinain Parlamento? «L’ho sempre portata, ma a un certo punto avevo un certificato medico che mi esonerava. Nonostante ciò, volevano che la indossassi per fare bella figura loro. Nessuno in Parlamento è morto: il Parlamento è un teatro ed è la conferma che chiudere i teatri è stato assurdo».

Ha detto che il Covid ha reso le altre malattie di serie B. Ci spieghi… «Sì, perché di malattie ne ho avute tante, per fortuna superate, ma non ne ho mai parlato. Con il Covid invece la malattia è diventata pubblica e chiunque strepitava di averla: tutta gente che oggi sta benissimo. Questo ha messo le altre patologie e la loro cura in seconda fila. Il primario di oncologia del Regina Elena mi ha ringraziato perché io ho ribadito che c’è pure il cancro, che ha conseguenze anche gravi».

Ora si propone come assessore alla Cultura a Roma. «No, non mi importa niente di propormi. Invece ho inventato la formula del Tridente. A fianco di tre candidati di sinistra (Gualtieri, Calenda e Raggi) che perderanno, se non altro perché sono divisi, ce ne sono tre uniti: Michetti sindaco, Mato- ne prosindaco e io assessore alla Cultura, che per Roma è fondamentale. Occorre una forza attiva per sostenere una situazione così complessa».

Sabrina si è occupata di lei? «Lei, come alcune persone sensibili che non amano uscire, ha tratto beneficio dal lock- down, dalla mancanza di traffico e folla. Con mia sorella Elisabetta mi ha accudito con impegno nella malattia. In ospedale ho trovato persone molto brave e gentili, tra cui la dottoressa Alessia Farneti e un infermiere, Paolo: intorno a me c’era un clima di affettività perché collaboravo. Sono buono e placido quando nessuno mi provoca».

A quale artista si paragonerebbe per il carattere fumantino? «A Caravaggio, a cui durante il lockdown ho dedicato un nuovo libro». Di solito Sabrina non la segue. «No, lei è l’opposto di me, non vorrebbe vedere mai nessuno, mentre io prima del lockdown trascorrevo fuori anche venticinque giorni al mese. Lei starebbe sempre chiusa in casa, è peggio di Speranza».


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